sabato 24 agosto 2013

Ciak, si gira, motore!

"When life looks like Easy Street, there is danger at your door", cantavano i Grateful Dead nel 1969. Sarebbe potuta essere la colonna sonora della nostra mattinata, cominciata sotto un cielo terso, sole scintillante, mare come un olio da due giorni, generatore eolico immobile. Oggi era prevista la nostra partenza da Lagon Bleu e io stavo pigramente lavando i piatti della colazione, in attesa di sentire il motore avviarsi, quando Alessio è sceso sottocoperta col viso cupo, foriero di brutte notizie. Un attimo dopo la barca era già nella tipica configurazione delle grandi manovre di manutenzione, ovvero sventrata, con il motore a vista e tutta la cuccetta di poppa sottosopra. Fedele alla consegna che un qualche sistema vitale si deve guastare ad ogni stagione, la nostra barca ha deciso che oggi toccava al quadro di avviamento del motore, lasciandoci senza motore in un luogo privo di anima viva oltre noi, senza campo cellulare e disseminato di reef e teste di corallo affioranti a pelo d'acqua. Un'uscita a zigzag a vela in questo campo minato sarebbe stato molto cool ma era fuori discussione. Nel frattempo, con tempismo perfetto, il bel tempo è finito e, sotto una nuvolaglia nera si è levato un bel vento deciso, che ha dato una pennellata minacciosa ai reef circostanti. Dopo una lotta furibonda con cavi e cavetti, Alessio, nero come uno spazzacamino (anche questo un grande classico) ha tirato fuori, dal cilindro delle sue molte risorse, un'utile predisposizione al furto di automobili e ha acceso il motore collegando due fili, nel giubilo generale, salvo poi scoprire che, anche se avevamo di nuovo un motore funzionante e potevamo dunque uscire indenni dal labirinto delle teste di corallo, l'alternatore non stava però caricando le batterie, e dunque non avremmo potuto usare il salpaancore elettrico. Alessio ha dunque salpato a forza di braccia ben 40 metri di catena (sic!) con relativa ancora, e siamo tornati a Rotoava, in attesa di partire, domani, per Raiatea (sperem!). Nella concitazione, le bambine come sempre erano in diverso stato d'animo: Anna silenziosa, Chiara ilare. Al rimprovero di Anna "Tu ti diverti, non ti importa niente che il motore non parte e papà e mamma sono preoccupati?" la risposta di Chiara è stata: "Io non sono preoccupata, perché ho capito una cosa: che le cose vanno sempre a finire bene!".

mercoledì 21 agosto 2013

Laguna blu

No, Brooke Shields non c'è, ma ciò non toglie che Lagon Bleu contenda alla sua omologa cromatica Les Sables Roses, a sud di Fakarava, il podio per il più bel posto delle Tuamotu, almeno a parer mio. Una lingua di sabbia candida e finissima si snoda morbidamente per chilometri interrotta soltanto da lingue di sabbia e insenature protette che formano piscine naturali di acque turchesi e cristalline. In questo posto meraviglioso abbiamo trascorso due giorni, completamente soli e nella pace e nel silenzio più totali, e io credo di non essermi mai sentita più in pace con me stessa e con il mondo. Tanto blu negli occhi, unico rumore le risate argentine delle bambine. Paradise, anzi no, appunto: Laguna Blu (senza le bacche!).

sabato 10 agosto 2013

Jaws

Se due mesi fa mi avessero detto che le mie bambine di 5 e 6 anni avrebbero nuotato, totalmente rilassate, insieme a una decina di squali, alcuni dei quali grandi quanto loro, mi sarei fatta una bella risata. Ma succede questo e altro a Tetamanu, nei pressi della passe Tumakohua, a sud di Fakarava. Per la particolare varietà del suo ecosistema e lo stato assolutamente intatto dei suoi coralli e della sua fauna marina, quest'area appartiene ai luoghi protetti dall'Unesco e offre, anche al più pavido e inesperto degli snorkeler, grandi emozioni e un'esperienza subacquea indimenticabile. Giganteschi pesci napoleone, grandi oltre un metro e mezzo, innocui squali black tip e ogni specie di colorati pesci tropicali nuotano pigramente, come in un gigantesco acquario, tra coralli perfettamente conservati. L'acqua è talmente trasparente e cristallina che si può avere una visibilità perfetta di tutta questa vita sottomarina anche senza bagnarsi, semplicemente guardando lo specchio marino sottostante da un pontile su palafitte che si allunga sulla spalliera di coralli. Sott'acqua, quando uno squalo si avvicina, con i suoi occhietti piccole e neri, occorre un po' di tempo per smettere di sentire il ritornello del film di Spielberg nelle orecchie: tun tun tun tun tun tun tun!

domenica 4 agosto 2013

Ma ke bbella, Makemo!

Siamo arrivati a Fakarava, dopo aver toccato, praticamente a volo d'uccello, le bellissime Makemo e Tahanea. A Makemo il tempo è volto finalmente al bello e ci ha permesso una giornata in spiaggia di quelle che non si scordano più. Su una spiaggia sconfinata, per lunghezza e profondità, dove le uniche impronte di esseri viventi erano le tracce dei paguri giganti, le bambine hanno costruito Paguropoli, una intera città con tanto di strade, incroci, case e persino una scuola. Davanti a questa spiaggia immensa, una sconfinata piscina di acque turchesi e cristalline offriva alle mie urbaniste un meritato refrigerio dopo tanti sforzi edilizi. A Tahanea siamo arrivati dopo una navigazione sofferta e sballottata, con la solita onda lunga al traverso e il mio stomaco a yo-yo. Abbiamo avuto a malapena il tempo di metter piede sulla spiaggia, che già era tempo di metter la prua su Fakarava: e così, non ci siamo fatti mancare nemmeno l'esperienza thriller di uscire dalla passe di Tahanea col buio (brrrrrr!), per poter arrivare in tempo alla passe di Fakarava, dopo una navigazione diurna, finalmente, tranquilla e perfin godereccia, che nemmeno una bella vomitata di Anna sul lato sopravvento della coperta è riuscita a funestare. Sì, sì, lo so che avevo detto che ero rimasta l'unico membro dell'equipaggio a soffrire il mal di mare, ma la nostra barca ha un senso dell'umorismo tutto suo!

giovedì 1 agosto 2013

Ci passe o non ci passe?

La passe, questa sconosciuta, argomento principe delle conversazioni dei velisti nelle isole Tuamotu. Come dice la parola stessa, la passe è il passaggio, più o meno stretto e spesso l'unico a diposizione, che permette alle barche l'accesso alla laguna interna degli atolli. Immaginate un atollo come una specie di grande "C", dentro cui volete entrare, o da cui volete uscire. Secondo l'orario e l'escursione di marea, la corrente nella passe è più o meno forte e la sua direzione può essere entrante o uscente: negli orari sbagliati, e in condizioni di vento e mare sfavorevoli, la passe si presenta come uno Stige ribollente e bianco di spuma. Impegnare una passe nell'orario sbagliato può voler dire fare rafting sulla propria barca dentro l'equivalente di un torrente di montagna, o al contrario, se la corrente è avversa, significa non avanzare neanche di un metro, nemmeno alla massima potenza di motore. Bisogna dunque calcolare il momento ideale per passare, a cavallo dell'inversione tra le due maree, quando la corrente è poca e la direzione è favorevole, o per lo meno non è smaccatamente sfavorevole. Per calcolare questo momento d'oro, il velista accorto e previdente studia, calcola, ricalcola e si gratta molto la pera, dopo di che si presenta alla passe come un cacciatore alla preda, circospetto e armato di binocolo, e guata il biancheggiar di spuma con occhio critico e smorfia astuta, prima di lanciare il cuore oltre l'ostacolo e di buttarsi. Arrivare alla passe in anticipo ti fa sentire come quando arrivi troppo presto a un appuntamento al ristorante, lo trovi chiuso e ti metti ad aspettare di fronte all'entrata, sperando che nel frattempo non inizi a piovere. Arrivare in ritardo alla passe è invece come scendere precipitosamente le scale della metropolitana per prendere l'ultimo metrò della notte, salvo arrivare alla banchina in tempo per vedere le porte chiudersi e il treno sparire in galleria. Sarebbe più facile presentarsi in orario al tornello della passe se le distanze tra gli atolli fossero più brevi, ma a volte tra un atollo e l'altro ci passa un giorno di navigazione, e perdere l'orario di entrata o di uscita può voler dire giocarsi l'unica possibilità per le successive 24 ore. Come dire: passe o non passe, questo è il problema!

mercoledì 24 luglio 2013

Soffia il vento, urla la bufera...

Eccoci ancora qua a Raroia, dopo il disastro ovviamente non siamo partiti per Makemo e siamo rimasti all'ancora a leccarci le ferite, beh a dire il vero IO mi sono leccata le ferite e mi sono stracciata le vesti in stato di prostrazione, e nel frattempo Alessio ha lavorato come un mulo, come sempre. Il tempo è infame, freddo, pioggia e vento sui 35 nodi, oggi abbiamo osato mettere il naso fuori dall'ancoraggio per percorrere le 5 miglia che ci separano dal villaggetto dall'altro lato dell'atollo, nella speranza di fare un po' di spesa e magari anche di riuscire a fare un bucato o due da una signora che (si favoleggia) possiede una lavatrice, ma l'ancoraggio a ridosso del paesello era così brutto e insicuro che abbiamo fatto dietro front senza nemmeno fermarci e siamo tornati indietro con la coda tra le gambe. Alessio si è sparato 5 ore di timone e motore sotto la pioggia, con onde e vento a 35 nodi in faccia (in certi momenti, col motore al massimo, andavamo a mezzo nodo, cioè a UN chilometro all'ora, saremmo andati più veloci a piedi!) e tutto questo in cambio di niente. 5 ore di viaggio per percorrere 10 chilometri scarsi... quando si dice una decisione sbagliata, eh. Ho scordato di aggiornarvi su Pio, vi sarete chiesti che cosa ne sia stato del nostro pulcino marinaio. Beh, dopo qualche giorno abbiamo scoperto che Pio soffriva il maldimare (sic!) e dunque, ancora alle Marchesi, lo abbiamo sbarcato su un bel praticello pieno di altre galline e pulcini, nella speranza che la terraferma gli offrisse quelle speranze di sopravvivenza che a bordo gli sarebbero state sicuramente negate. E così, per il momento sono tornata ad essere l'unico membro dell'equipaggio che soffre il maldimare, visto che le bambine mi hanno abbandonata in questo genere di sofferenza, e durante le nostre turbolente navigazioni rollanti e beccheggianti si dedicano con delizia a varie occupazioni tutte ugualmente nauseabonde per la sottoscritta: leggono, scrivono, disegnano e mangiano. E vabbè, attendiamo che questo fronte freddo stazionario vada a stazionare da qualche altra parte e ci offra una finestra meteo adatta per mettere fuori la prua dalla protezione della barriera corallina. In mare aperto, in questi giorni, deve essere un inferno e noi non abbiamo nessuna intenzione di andare a cercare altri guai. E quindi ci godiamo qui il vento, il freddo e la pioggia: stasera, polenta!

lunedì 22 luglio 2013

L 19, colpito...quasi affondato

"Papà, esce acqua dal buco del pavimento". E' cominciata così, con questa frase di Chiara, la nostra giornata più nera. Ale e Anna stavano salpando l'ancora, io stavo facendo un sonnellino in quadrato, ma la frase di Chiara ha avuto l'effetto di una bomba in una cristalleria. Ho aperto gli occhi e ho visto l'acqua uscire dai paglioli, dove non avrebbe mai dovuto esserci, e da lì in poi è stata solo concitazione e paura. Era evidente che stavano entrando migliaia di litri d'acqua, che il livello dell'acqua stava salendo a vista d'occhio e che se non Alessio non avesse trovato e tappato in fretta la falla saremmo inevitabilmente affondati. La mia richiesta di soccorso sul canale 16 non ha avuto nessuna risposta, e a quel punto mi sono messa a sgottare, una secchiata via l'altra, mentre Alessio cercava freneticamente la via d'acqua e alla fine, al colmo della disperazione, portava la barca a 40 metri dalla riva, pronto ad arenarla sulla spiaggia se non fosse riuscito ad arrestare a breve il flusso d'acqua. Nel panico e nella confusione, traevo conforto dal pensiero, lucido e cristallino, che se anche la barca fosse affondata, noi però ci saremmo salvati, perché la spiaggia era vicina, il gommone era in acqua, il cellulare aveva campo, e avrei anche avuto tempo di raccogliere e mettere in salvo i soldi, i passaporti, e le nostre cose più importanti. Infine, mentre i paglioli galleggiavano tristemente per tutta la barca e l'acqua aveva quasi raggiunto i polpacci, ed era ormai chiaro che nemmeno sgottare a secchiate e tutte le pompe in funzione avrebbero impedito al livello dell'acqua di salire inesorabilmente, Ale ha trovato la falla: era saltata via la cuffia dell'asse dell'elica. Sdraiato in acqua, alla cieca Ale l'ha ripescata e rimessa in sede, e abbiamo potuto ricominciare a respirare: il livello dell'acqua era finalmente fermo, e poi ha cominciato a scendere. La barca era un macello: l'autoclave, il compressore del frigo e il motore fino a metà erano andati sott'acqua con tutti i loro bei contatti elettrici, dappertutto acqua salata mista a residui oliosi. Dulcis in fundo, nel frattempo l'ancora aveva spedato e avevamo vagato alla deriva tra i reef senza accorgercene per circa duecento metri, quando fortunatamente l'ancora ha fatto presa su qualche testa di corallo e ci ha fermati, inermi e ignari di tanta cattiva sorte. Non voglio soffermarmi sulla notte agitata e piena di incubi, e nemmeno sulla giornata di ieri, in cui Ale ha lavorato duramente e indefessamente per fissare saldamente la cuffia al suo posto e riportare la barca in una condizione di normalità, mentre fuori il vento infuriava con raffiche di 35 nodi sotto un temporale via l'altro. Le bambine sono state bravissime e collaborative, assolutamente all'altezza della situazione. Oggi tutto è tornato a posto, tranne il mio morale che è sotto i tacchi: è il 21 luglio, mio papà compie 80 anni e io vorrei essere a casa, a cantargli tanti auguri a te insieme al resto della mia famiglia, mentre lui spegne le candeline. Tanti auguri papà, buon compleanno!

Crusoe Family!

Ultimo giorno qui a Raroia, domani ci spostiamo a Makemo, distante da qui 70 miglia. Dal nostro arrivo le bambine e io abbiamo fatto circa 700 miglia, quasi 1400 chilometri a vela, non male per le mie bambine cittadine. Le bambine non soffrono più il maldimare e in navigazione conducono una vita assolutamente normale, leggono, giocano, mangiano e dormono anche nelle condizioni di mare e vento più severe. Io invece continuo a soffrire il maldimare senza speranza di redenzione: eh, che devo farci, mi tocca solo tanta pazienza (la migliore di tutte le virtù). Ieri Chiara ha avuto il suo battesimo di maschera e pinne, finora non eravamo mai riusciti a convincerla a provare, ma Alessio è stato bravo nel continuare a proporle questa esperienza e alla fine la curiosità di vedere le meraviglie che qui nuotano sott'acqua deve aver avuto la meglio sul fastidio inziale di indossare la maschera. Per Chiara è stata una epifania, continuava a tirare fuori la testa dall'acqua e a togliersi il boccaglio per poter gridare tutto il suo entusiasmo per ciò che vedeva sott'acqua, e a dire il vero tanta emozione era più che giustificata: ieri sotto di noi nuotava una manta con un'apertura alare di due metri! Ahimè, domani ci spostiamo, il tempo stringe se vogliamo raggiungere Fakarava entro i primi di agosto, visto che vogliamo visitare con calma un altro paio di atolli. Mi dispiace molto andarmene, non credo che ci capiterà così spesso di essere gli unici esseri umani per chilometri e chilometri di spiagge coralline e acque turchesi. E' stato bello trasformarsi, per qualche giorno, da Purple Family in... Crusoe Family!

mercoledì 17 luglio 2013

Raroia

Raroia, prima tappa nell'arcipelago delle Tuamotu. Siamo arrivati qui da Fatu Hiva, dopo 400 miglia di navigazione no-stop, e ne è valsa la pena: il nuovo paesaggio degli atolli presenta un contrasto incredibile con le alte montagne lussureggianti delle Marchesi, ma è altrettanto stupefacente. Siamo, e mi par incredibile, l'unica barca in un atollo lungo 40 chilometri e largo 10, davanti a noi si offrono spiagge su spiagge di rena corallina rosa, che si affacciano su piscine naturali di ogni azzurro possibile, dal verde acqua al turchese. Piccoli squaletti nuotano pigramente tra coralli viola e blu cobalto, mentre sulla spiaggia alcuni paguri grandi quando un pugno procedono come mezzi cingolati su tappeti di piccole conchiglie bianche. Ma la cosa che fa più impressione è proprio la nostra completa solitudine in tanta smisurata bellezza, l'immersione totale in tutto questo azzurro, rosa e bianco, e il senso di straniamento che proviene dalla sensazione, ovviamente irrazionale ma non per questo meno forte, di essere gli ultimi rimasti, o i primi di una lunga serie a venire...

Pronti, partenza, via!

Oggi partiamo per le Tuamotu, destinazione Raroia. Ci separano 400 miglia, circa 3 giorni di navigazione no-stop, siamo pronti, la barca pure, atolli della Polinesia preparatevi, arriviamo!

sabato 13 luglio 2013

Fatu Hiva, Baia delle Vergini

Fatu Hiva, Baia di Hanavave, anche detta Baia delle Vergini. Per me, vince a mani basse il premio di baia più bella delle Marchesi, ed è anche la nostra ultima tappa marchesiana prima del grande salto verso l'arcipelago delle Tuamotu. L'abbiamo raggiunta dopo una bolina tranquilla da Hiva Oa, durante la quale abbiamo di nuovo provato la grande gioia di rivedere i delfini surfare a lungo sulla nostra prua. I tramonti sulla Baia delle Vergini sono i più spettacolari che io abbia mai visto, il sole riverbera di rosa e arancione i pinnacoli per i quali questa baia è famosa, e da cui ha preso il nome: leggenda vuole, infatti, che il nome di questa baia fosse inizialmente Baie des Verges (la baia delle verghe), per via dell'aspetto decisamente fallico dei suoi molti e imponenti pinnacoli. I missionari furono sufficientemente inorriditi da questo soprannome da aggiugere una "i" e tramutarla in Baie des Vierges. A ben guardare, su molti dei pinnacoli si possono scorgere fattezze umane, e su uno in particolare una specie di Monna Lisa, persin dotata di una verde chioma muschiosa, domina solennemente la baia come George Washington dal monte Rushmore. A terra, siamo stati accolti da un ritmo stentoreo di tamburi: l'intero villaggio stava provando le danze rituali polinesiane in preparazione dei grandi festeggiamenti del 14 luglio, e abbiamo potuto ammirare grandi e piccoli impegnati in difficili movimenti del bacino e in sinuosi ondeggiamenti di braccia, a tempo di percussioni. Veniva una gran voglia di provarcisi, se non fosse stato per il fatto che sono convinta che mi si sarebbe svitato il bacino oppure che sarei stata colpita da un accidentale colpo della strega. O forse, più che accidentale, dovrei dire... occidentale!

Fish(erman)'s friends

"Mamma, posso avere un'altra banana?". Mi insospettisco, è già la terza che le bambine mi chiedono, e da quando in qua sono diventate così ghiotte di banane? E poi cos'è tutto questo silenzio in coperta? Sporgo la testa dal tambuccio, in tempo per vedere Chiara che stacca un pezzo della sua banana e lo getta in mare. Orrore, sprecare il cibo non va mai bene, ma in barca è considerato un peccato mortale. In risposta alla mia reprimenda, le bambine se ne escono con "Mamma, è pieno di pesci rosa qui sotto, mangiano qualsiasi cosa gli buttiamo, possiamo pescarne uno?". E' vero, sotto la barca è un affollarsi di parghi rosa, altrove sarebbero pesci buonissimi da mangiare, ma qui in Polinesia i pesci che vivono e si nutrono sui coralli sono spesso velenosi, ingeriscono massicce quantità di una tossina dei coralli che si chiama ciguatera, e mangiarli è una cattiva idea. "Bambine, non possiamo mangiarli, che cosa li peschiamo a fare?". Non c'è verso, come spesso succede le bambine insistono, e io decido che sarà una buona lezione. Estraggo amo e lenza, mettiamo l'esca e gettiamo. Tempo cinque secondi, e la lenza fila con uno strattone tra le mie dita, le bambine gridano di gioia ed eccitazione mentre tiriamo su un bel pargo. Guardiamo negli occhi il grosso pesce, mentre boccheggia impotente nel secchio. "Poverino..." dice Chiara. "Poverino..." fa eco Anna. "Già", dico, io laconica. Lo ributtiamo a mare, io chiedo: "Volete continuare a pescare?". "No", dice Anna. "No", dice Chiara. "Bene", dico io solennemente,"uccidere non è nè facile, nè divertente, quando lo si fa solo per divertimento". Per qualche giorno la faccenda è rimasta lì, a lievitare da qualche parte nella coscienza delle bambine. Ieri, durante la traversata per Hiva Oa, abbiamo pescato alla traina un bellissimo tonno pinne gialle, bello cicciotto, forse 8 o 9 chili: mentre Alessio cercava di arpionarlo con il raffio per issarlo in coperta, proprio all'ultimo secondo, il tonno si è slamato con un guizzo. "NOOOOOOOOOO!", abbiamo gridato Alessio e io, all'unisono. "Oh, che peccato..." ha detto ipocritamente Chiara, nascondendo a stento la sua intima soddisfazione per l'epilogo della nostra pesca. Poi ha chiosato filosoficamente: "Eh, pazienza: tornerà a farsi la sua vita, no?". "Già", ho risposto io, laconica per la seconda volta, pensando che, in fondo, alla fine tutto è sempre una questione di punti di vista.

lunedì 1 luglio 2013

La bolina notturna

Oggi l'indicatore dell'energia del morale a bordo è basso, e le ultime due giornate sono da ascrivere nell'apposita sezione del blog intitolata "giornate no, cabin fever e umore tignoso". Due giorni fa abbiamo fatto una bolinata notturna selvaggia, con vento in faccia a oltre venti nodi e onde di tre metri, falchetta perennemente in acqua e barca completamente sbandata: 20 ore conscutive di dura bolina stretta per percorrere le micragnose 100 miglia che ci separavano dall'isola di Tahuata, la quale da parte sua ci ha maternamente accolto con pioggia battente e raffichette di vento a 40 nodi (80 chilometri l'ora), che facevano tremare la barca come se fosse in preda a febbre terzana. Durante la navigazione notturna, uno degli innumerevoli violentissimi beccheggi della barca ha causato la rottura di una bottiglia di vino che si è versato ovunque, rendendo l'atmosfera del quadrato satura di fumi vinosi e simile a quella di una bettola di quarta categoria: l'ideale, per una (a caso) che stia cercando di superare il mal di mare che la attanaglia da ore. La randa ha rimediato uno squarcio di 20 centimetri che andrà pazientemente ricucito prima che possiamo riprendere il mare, mentre la cabina di prua ha una via d'acqua non ancora bene identificata, che causa uno sgocciolamento sui materassi durante le lunghe navigazioni di bolina come quella appena fatta, e rende la cabina completamente inagibile. Questo, il bollettino di guerra. A voler guardare il lato positivo, c'è da dire che l'equipaggio ha tenuto botta: Alessio, come sempre superlativo e totalmente autosufficiente, le bambine e io unite nel nostro motto silenzioso durante le navigazioni difficili, che è "primum, non nocere". Ovvero, cercare di non peggiorare la situazione e soprattutto non disturbare il conducente (o, meglio, non disturbare il manovratore, come è ancora scritto su alcuni vecchi tram a Milano), il che per le bambine vuole dire obbedire senza discutere, non prendersi a calci in pozzetto, non giocare con le scotte, mangiare quel che c'è il più velocemente possibile e senza lamentarsi, imbucarsi in cuccetta al calar del buio e non chiedere ogni 5 minuti "quando arriviamo?". Per la sottoscritta, vuole dire cercare di non vomitare l'anima, non tagliarsi un dito o slogarsi una caviglia, gestire tutte le varie cacche e pipì delle bambine a barca sbandata, e soprattutto evitare di nutrire sentimenti ostili per la barca, che notoriamente è molto permalosa e vendicativa ed è in grado di leggermi nel pensiero. E così, eccoci qua, in attesa dell'arcobaleno, che sono sicura non tarderà ad arrivare. In queste settimane alle Marchesi ne abbiamo ammirati moltissimi, a volte anche doppi, a ricordarci che non piove mai per sempre: gli strappi si ricuciono, i cuscini e i tessuti si lavano, tutto si aggiusta e si riordina. Sei pronta a sorriderci, Tahuata?

venerdì 28 giugno 2013

Tra 5 minuti in scena

Cari amici cinefili (e non!) della Purple Family, oggi devo fare una comunicazione estemporanea, diciamo che farò un uso privato di pubblico blog, o forse un uso pubblico di blog privato, a seconda dei punti di vista. Siamo infatti molto felici di annunciare che, seppur in piena estate e per breve tempo, ha finalmente visto la luce della distribuzione il film di cui Alessio ha fatto la direzione della fotografia, come sempre con zero mezzi ma tanta passione: si intitola "Tra 5 minuti in scena" e sarà in sala, non sappiamo per quanto tempo, a Milano (Apollo), Bologna (Rialto), Firenze (Principe), Genova (Sivori), Bergamo (Conca Verde), Sesto (Skypline), Padova (Astra), Trento (Astra), Torino (Ambrosio), e Roma (Alcazar). Secondo me è un bel film che vale il prezzo del suo biglietto, ma siccome ogni scarrafone è bello a mamma sua, l'unico modo che avete di farvi una vostra opinione è di andare a vederlo al cinema, il prima possibile, giacchè l'unica cosa certa è che rimarrà in sala fino a mercoledì 3 luglio e poi... chissà. Buona visione... qui a 'Ua Pou i cinema non ci sono, dunque saremo con voi con il pensiero... e l'immaginazione!

mercoledì 26 giugno 2013

'Ua Pou

Oggi intendevo risparmiarvi la mia solita quotidiana tiritera su quanto le isole Marchesi siano uniche, maestose, potenti, eccetera eccetera, ma è semplicemente impossibile non rendere omaggio alla bellezza entusiasmante dei pinnacoli svettanti verso il cielo di 'Ua Pou. A proposito di esperienze entusiasmanti, oggi siamo andati a nuotare in una piscina naturale formata da una cascata incastonata nella foresta tropicale, e se mi avessero detto che un giorno sarei emersa, in costume adamitico, da sotto una cascata ravviandomi i capelli bagnati, come in uno spot pubblicitario di una qualche bibita estiva, mi sarei fatta una risata. Era un posto meraviglioso e io ci sarei rimasta per ore, non fosse stato per i nugoli di ferocissime zanzare tigre che non attendevano altro che spolparci vivi. Ma quel bagno alla cascata ne valeva la pena, anche se dovessi grattarmi per una settimana! A proposito delle zanzare delle Marchesi - giacché qualche difetto queste isole devono pur avercelo - devo riportare, per dovere di cronaca, che prima di partire avevo messo in valigia una tonnellata di spray antizanzare, ma una telefonata di Alessio, alle Marchesi ormai da un mese, aveva messo in crisi le mie certezze. "Zanzare? Quali zanzare? Qui non ci sono zanzare!". "Nemmeno un pizzicoooooooo" aveva modulato in sottofondo Anna, un'amica comune in visita sulla barca. "Non c'è bisogno di tutto quello spray antizanzare!" era stata la conclusione di Alessio. E nonostante guide, blog vari di velisti e ogni altra fonte autorevole dicessero proprio il contrario, e sebbene mi sembrasse impossibile che delle isole tropicali piene di acqua e di vegetazione fossero prive di zanzare, io, come una principiante, come una novellina pur dopo 11 anni di vita insieme, ebbene sì, io gli ho creduto, ciecamente e senza riserve come solo l'amore induce a fare, e ho levato dalla valigia l'antizanzare. Qui una bottiglietta di antizanzare costa come un flacone di Chanel no 5. Ovviamente le Marchesi pullulano letteralmente di zanzare tigre e di voracissimi "nono", le cui punture prudono intollerabilmente per giorni e giorni, inducendo furiosi grattamenti, soprattutto notturni. L'unica mia consolazione è che mi mangio le unghie, altrimenti mi sarei già spellata viva da sola. "Nemmeno un pizzicoooooooooooooooooo"!

domenica 23 giugno 2013

Aiò!

Siamo arrivati alla Baia di Hakatea. Care amiche geologhe, le Marchesi sarebbero il vostro paradiso. Non ho mai visto in vita mia una baia più grandiosa e spettacolare di questa, si tratta di un ancoraggio chiuso all'interno di un cratere, circondato da montagne alte almeno 800 metri, che conferiscono a questo posto un'aura di severità e maestosità del tutto particolare. Ieri ci siamo inoltrati nella foresta per una passeggiata di un paio d'ore, dentro un profondo canyon, alla ricerca di una buona veduta sulla cascata di Vaipo, la più alta della Polinesia con i suoi 350 metri di caduta verticale. Mi spiace solo di non aver potuto godere per niente della magnifica passeggiata nella foresta, dal momento che mi sono beccata una bella febbre tropicale (dengue?) e già dal pomeriggio mi sentivo debole e febbricitante, desiderosa solo di sdraiarmi in cuccetta e assai poco interessata alle bellezze paesaggistiche che mi si aprivano davanti. Oggi muoveremo verso 'Ua Pou, e a questo proposito vorrei aprire una parentesi sulla lingua polinesiana, che ha un suono tanto dolce e melodioso, quanto impossibile da memorizzare. Avevo sempre creduto di avere un buon orecchio per le lingue straniere, ma la battaglia con il polinesiano è semplicemente impari. Per darvi un'idea, vi dico che finora le tappe del nostro viaggio hanno toccato Taiohae, Taipivai, Anaho, Hatieu, Hakaui e Hakatea. Nell'isola di 'Ua Pou, dove siamo diretti, ci sono Hakaethau, Haakuti, Hakamaii, Hikeu, Hakatao, Hakahau e Hakanui. Nell'isola di Hiva Oa, ci sono Hanatekuua, Hanapaaoa, Hanaiapa, Hanaevane, Hanamoenoa e Hanamenino. "Mi scusi" si dice "E'e, aue ho'i e". "Non capisco" si dice "Aita i ta'a ia'u". "Il mio nome è" si dice "To'u i'oa 'o". Le amiche e gli amici sardi saranno felici di sapere che "sì" si dice "E, 'oia". Aiò, ragazzi!

mercoledì 19 giugno 2013

Dal fruttivendolo a Anaho Bay

Terzo giorno consecutivo ad Anaho Bay, è difficile decidersi a lasciare questo ancoraggio così particolare. Alessio è convinto che sia l'ancoraggio più bello delle Marchesi e ogni giorno rimanda la partenza verso la prossima isola. Ieri è stata una giornata speciale: abbiamo seguito un sentiero che, lasciate le calette di sabbia bianca, saliva dolcemente verso un colle, offrendoci vedute aeree e spettacolari della baia sottostante. Dopo un'oretta abbondante di camminata abbiamo raggiunto una piantagione sulla sommità, oltre la quale una distesa di erba verde, a mo' di prato inglese, diradava verso una spiaggia vastissima e completamente deserta. Abbiamo acquistato chili di ortaggi e frutta alla piantagione e le bambine hanno fatto il tragitto di ritorno su un docile cavallo che era stato caricato di tutta la nostra spesa. Mentre le guardavo caracollare sul basto, con i loro visini aperti in grandi sorrisi, con la baia incorniciata di montagne sullo sfondo, sono stata colta da una strana sensazione di deja vu mista a irrealtà: mi sembrava di guardare due facce di una stessa medaglia, stranamente sovrapposte: in fondo, ieri siamo semplicemente andati dal fruttivendolo, abbiamo fatto la spesa, abbiamo caricato bambine e sacchetti sul mezzo, e lo abbiamo guidato fino a casa. Questo, per quanto riguarda il deja vu. E ci abbiamo messo 4 ore, senza stress, fretta, code, inquinamento, conflitti e affannosa ricerca della fidaty card: questo, per quanto riguarda il senso di irrealtà!

domenica 16 giugno 2013

Anaho Bay

Oggi abbiamo raggiunto la meravigliosa Anaho Bay in circa 5 ore di navigazione su onde incrociate, a ridosso di alte e severe scogliere contro cui frangeva un mare confuso e agitato. La navigazione, che sulla carta era una di quelle da sicuro mal di mare, ci ha regalato invece solo grandi emozioni: sono infatti arrivati a surfare sulla nostra prua dapprima i delfini, che hanno deliziato le bambine con le loro acrobazie sincronizzate, e in seguito siamo stati circondati da una ventina di peponocefali, che speravamo moltissimo di avvistare, visto che il mare circostante Nuku Hiva è famoso per essere un luogo di raduno di questi cetacei. Anaho Bay è un paradiso terrestre: la baia penetra profondamente tra quinte di montagne maestose e vellutate di verde, e termina in una insenatura con una ampia spiaggia. E' possibile arrivare in questo posto solo via mare, oppure con una camminata nella foresta di un'ora e mezza. Alcuni locali vengono qui a cavallo. E' molto difficile descrivere la sensazione di fascino, magia e anche soggezione che i paesaggi offerti dalle Marchesi ispirano: queste isole si elevano a picco sul mare in una sinfonia di picchi, pinnacoli, ripide scogliere, gole e costoni, completamente ammantate di un verde brillante e a tratti quasi irreale. Su questa terra generosa crescono boschi di pini, foreste di acacie e ogni genere di pianta fiorita, oltre a alberi di mango grandi come querce secolari. Da nessuna parte come qui, alle Marchesi, ho compreso meglio il significato della parola "lussureggiante": basta allungare la mano per cogliere un frutto o un fiore. Insomma, sarebbe un Eden perfetto... se solo ci crescessero anche i meli!

giovedì 13 giugno 2013

Il pulcino delle Marchesi

Nuku Hiva, isole Marchesi. Pare incredibile essere qui, in mezzo al Pacifico, dopo un viaggio no stop durato quasi due giorni, con 3 scali e 3 aerei diversi. Alesso, lui, c’è arrivato in 18 di traversata a vela e in solitaria dalle Galapagos, 3000 miglia (cioè quasi 6000 chilometri!) nel blu dipinto di blu del Pacifico. Il viaggio, anche se eterno, sarebbe andato liscio come l’olio, se non fosse per il fatto che entrambe le mie valigie sono andate disperse a Parigi, nella coincidenza strettissima tra due dei miei tre voli. Mentre correvamo a perdifiato tra i vari terminal (la corsa in aeroporto è un grande classico dei miei voli intercontinentali con le bambine), e una voce nella mia testa scandiva “Run, Forrest, RUN!”, sapevo che forse NOI ce l’avremmo fatta a prendere quell’aereo per Papeete, ma le mie valigie di certo no. E così, eccoci qua, in una baia incorniciata da montagne ammantate di verde, di fronte a un’isola ricoperta di foreste di pini e di acacie, attraversata da gole profonde e paesaggi mozzafiato. Ma ci sarà tempo per parlare della verde bellezza delle Marchesi, perché oggi voglio parlare di altro. Da tre giorni abbiamo un nuovo membro dell’equipaggio: si tratta di un esemplare poco più che implume di Gallus Gallus Domesticus, alias pulcino Pio, trovato disperso e pigolante in un angolo di strada e imbarcato tra le grida di gioia delle bambine e un sospiro di rassegnazione di Alessio. E così, dopo aver resistito a Milano per anni alla richiesta di avere cani, gatti, criceti e pesci rossi, alla fine abbiamo capitolato adottando una gallina e per giunta in barca. Forse era destino, mia mamma in fondo me lo aveva sempre pronosticato che per tutti i miei sbriciolamenti mi ci sarebbe voluta una gallina! Pio, oltre a essere piccolissimo, è anche zoppo: si è fatto male a una zampina dopo essere evaso dalla sua cuccetta durante le due ore che ha trascorso in barca da solo. Al nostro ritorno in barca lo abbiamo trovato riverso in pozzetto in fin di vita, dopo che era precipitato da mezzo metro ed era rimasto per ore sotto il sole cocente, incapace di rialzarsi sulla zampa offesa. Da allora, abbiamo deciso che lo avremmo portato con noi ogni volta che fossimo scesi a terra, e ora passeggiamo, facciamo la spesa e giriamo per Tahioae con un pulcino strepitante al seguito. Pio emette due pigolii al secondo, per tutta la giornata, ininterrottamente. Col calar del buio si spegne di colpo e cade addormentato fino al sorgere del sole (non per niente è una gallina!), quando riprende il suo pigolio ininterrotto e sveglia tutta la barca: e questo accade alle 06.00 del mattino. Resta da vedere che cosa faremo di lui nei prossimi giorni: siamo infatti in partenza per circumnavigare Nuku Hiva, e Pio non è ancora in grado di camminare e nutrirsi da solo. Forse potremo liberarlo a Hiva Hoa, se per allora avrà raggiunto una discreta autosufficienza, prima del nostro salto verso le isole Tuamotu (400 miglia, ovvero 3 giorni di navigazione). Pìopìopìopìopìopìopìopìopìopìopìo!

giovedì 4 aprile 2013

Bartolomè

Care amiche geologhe, l'altro ieri vi ho pensate intensamente: vi sono fischiate le orecchie? Bartolomè è un'isola vulcanica dall'aspetto tormentato, spettacolare, lunare. Il giallo delle rocce si alterna al nero e all'ocra, interi altopiani butterati da piccoli crateri sono costellati di interi blocchi di magma raffreddatosi nelle forme più bizzarre. Un sentierino di gradini di legno, costruito per permettere la salita fino al punto più alto dell'isola, offre un panorama mozzafiato a tutto tondo sul mare circostante e le isole vicine. Su Bartolomè l'unica forma di vita terrestre che ho visto sono state delle bizzarre lucertoline molto rissose, che si scacciavano a vicenda rincorrendosi velocissime in mezzo al deserto lavico. Giunti in cima al promontorio, siamo stati attorniati da quattro grossi falchi delle Galapagos che si sono posati a un metro da noi, curiosi e per nulla intimoriti: avevo più soggezione io, visto che nel 2011 un'aquila, nel parco nazionale del lago Gatun, a Panama, ha attaccato Alessio aprendogli lo scalpo per una lunghezza di venti centimetri! Ma gli animali delle Galapagos non sono per nulla aggressivi (persino gli squali): relax, take it easy, sembrano sempre dire!

mercoledì 3 aprile 2013

Tortuga Bay

Immaginatevi una spiaggia enorme, dalla rena bianca e impalpabile come zucchero a velo. Dinanzi a voi, lontano ma non troppo, l'oceano frange in alte onde su cui danzano i surfisti, e che si rompono in lunghe lingue di spuma bianca, che si srotola sulla spiaggia per decine di metri, fino a lambire le vstre caviglie. Dietro di voi, potete seguire le orme delle tartarughe marine neonate, fino ai loro nidi di sabbia in cui spuntano i gusci rotti dai quali sono uscite nottetempo.Grosse iguane marine, nere come la pece, dormono placidamente, spiaggiate a pelle di leone sulla sabbia candida. Tortuga Bay: in mezzo a tanta bianca vastita' Anna e Chiara corrono avanti e indietro a perdifiato, completamente felici, e questa giornata non la scorderanno mai, anche quando non la ricorderanno più.

lunedì 1 aprile 2013

North Seymour

Oggi, all'isola di North Seymour, ho compreso perché queste isole siano state definite "isole incantate" da Darwin. "Incanto" è infatti la parola esatta per definire il sentimento di stupore e meraviglia che ho provato oggi quando abbiamo messo piede su questa isola, dove centinaia di fregate dal gozzo rosso e di sule dai piedi azzurri nidificano totalmente indisturbate, dal momento che non hanno predatori e che dividono l'isola praticamente solo con le iguane, che sono vegetariane. Abbiamo potuto vedere i rituali di corteggiamento tra gli uccelli e osservare da vicino i pulcini bianchi e lanosi accoccolati sotto le loro madri. Anche su Seymour la paura dell'uomo non esiste, gli uccelli si fanno avvicinare e fotografare senza mostrare il minimo turbamento, perfino in prossimità dei loro nidi e dei loro piccoli. Anche le grosse iguane vengono vicinissime, soprattutto se invogliate dalla vista di qualche frutto di cactus. Tutta l'isola ha un aspetto da Eden, al di fuori del tempo e dello spazio, dove la vita scorre senza patemi e senza le lotte per la sopravvivenza che sono tipiche in natura. Imagine all the people leaving life in peace, direbbe qualcuno!

sabato 30 marzo 2013

Isla Isabela

Oggi giornata di decompressione, dopo la gita di ieri a Isla Isabela, durante la quale non sono mai stata abbandonata dalla fastidiosa sensazione di appartenere a un armento di turisti che veniva pascolato frettolosamente da un sito all'altro dal pastore, pardon dalla guida. Dopo due ore di faticoso tragitto, sballottati su un motoscafo lanciato tra i flutti a tutta velocità, tra un passeggero che vomitava l'anima fuoribordo e altri appisolati con le teste che ciondolavano mollemente qua e là, eccoci finalmente a Isabela, dove siamo stati prontamente sospinti su una specie di carro bestiame che ci ha portati a vedere, come prima tappa, i fenicotteri rosa. Dopo nemmeno dieci minuti, pronti, marsch, rimontare, e via verso il centro di riproduzione delle tartarughe giganti, nel quale siamo rimasti una ventina di minuti prima di essere risospinti sul bus, alla volta di uno spettacolare paesaggio lavico che sarebbe stato bene anche su Marte, attraversato da uno stretto canyon nel quale nuotava pigramente una decina di squali delle Galapagos. Nemmeno a dirlo, il tempo di un giro veloce e via, di nuovo sul motoscafo dove abbiamo trascorso le successive due ore di ritorno, tra il mugghio assordante dei motori fuoribordo, un colpo alle reni a ogni planata e il solito passeggero che vomitava (sempre lo stesso). In tutto ciò, le bambine hanno fotografato entusiasticamente ogni forma di vita sull'isola e Anna è stata colpita da grande sconforto quando le batterie della sua macchina fotografica si sono scaricate, soprattutto perché la macchina fotografica di Chiara funzionava invece perfettamente! A volte mi chiedo che cosa ricorderanno le bambine di questa esperienza, e mi rispondo che forse rimarrà loro l'essenza del fascino che il viaggio riesce a infondere in quegli esseri umani che anche da adulti rimangono aperti e curiosi, come sanno essere i bambini, di conoscere quel che c'è oltre l'orizzonte, anche (e soprattutto) quello interiore.

venerdì 29 marzo 2013

La barchetta...a Santa Fè!

Rieccomi, vorrei dare più notizie di noi ma il tempo è poco e le cose da fare e da vedere sono tante, e dunque il dovere di cronaca è il primo a farne le spese. Ieri siamo stati a Isla Santa Fè, e dopo due ore e mezza di traversata tra salti spettacolari delle mante, siamo arrivati a un riparo naturale di acqua azzurra, dove le bambine hanno potuto nuotare insieme ai leoni marini e guardare le tartarughe marine. Abbiamo poi provato la grande emozione di sbarcare su una spiaggia, dalla sabbia bianca e finissima, dove decine di cuccioli di leone marino si riposavano placidi vicino alle madri. Abbiamo potuto camminare in mezzo a loro senza nessun segno di paura o di aggressività da parte loro o dei leoni marini adulti. Io non credo di aver mai visto nessuna creatura selvatica così priva di timore nei confronti dell'uomo, e temo che, almeno in passato, la fiducia sia stata mal riposta, se è vero che le navi di passaggio caricavano questi animali così facili da catturare a centinaia, per averne una scorta durante le lunghe navigazioni. Ci siamo poi inoltrati all'interno dell'isola dove abbiamo potuto ammirare a pochi centimetri di distanza l a gialla iguana terricola che vive solo in Santa Fè, e la cui estinzione è stata evitata per un pelo dopo che finalmente, dopo anni di tentativi infruttuosi, sono state eradicate dall'isola le capre selvatiche che vi erano state incautamente introdotte. A proposito, eliminare gli animali "estranei" nelle Galapagos è tutt'altro che facile, e in alcune isole c'è voluto più di mezzo secolo di tentativi! Più mi guardo intorno, più comprendo la decisione che qui è stata presa di impedire qualsiasi tipo di turismo "fai da te" alle Galapagos. In quasi tutte le isole, infatti, si può metter piede solo se accompagnati da una guida locale, perché l'ecosistema è molto fragile e alcune specie endemiche non possono affrontare il genere di turismo intensivo e invasivo di cui l'Homo Sapiens è capace, se lasciato libero di agire. E dunque, niente fazzolettini di carta, niente mozziconi di sigaretta, cartacce varie, niente tende sotto i fichi d'india (!) né falò sulla spiaggia, e nessuna navigazione libera: chi vuole visitare le isole, deve andare e tornare accompagnato tutto il tempo da una guida e i posti disponibili sono pochi. Ne vale la pena ed è giusto così: per una volta, non sarebbe male agire con un po' di senno, e magari che non sia il senno di poi!

martedì 26 marzo 2013

Viaggio verso il passato

Isla Santa Cruz, Galapagos. Mi sembra incredibile scrivere da qui, oltre 7 anni dopo essere partiti da La Spezia per iniziare questo viaggio, eppure abbiamo lasciato l'Atlantico ed eccoci nel Pacifico: quest'anno Alessio ha deciso di fare il salto nel blu e ai primi di marzo ha attraversato il Canale di Panama, diretto alle Galapagos, dove le bambine e io lo abbiamo raggiunto due giorni fa, dopo un viaggio eterno durato quasi due giorni. E dunque, eccoci arrivati tutti alle Galapagos, lui a vela, io a volo. Ieri abbiamo cominciato a guardarci intorno e a familiarizzare con il paesaggio sorprendente e inaspettato: foche ben pasciute dormono placidamente al sole sui pontili, incuranti dei turisti che le scavalcano per passare. Frotte d pellicani si affollano al mercato del pesce, litigando tra loro come oche davanti a un contadino che sparga il mangime. Iguane nere come la pece, catapultate direttamente dalla preistoria, prendono il sole su rocce vulcaniche. Ieri un'iguana ha camminato solennemtente sulla spiaggia e si è fermata a pochi centimetri da noi, guardandoci con i suoi occhietti severi, e lì è rimasta immobile per ore, come se il tempo per lei fosse altra cosa rispetto al nostro. Tartarughe enormi trascinano i loro quintali di peso con lentezza atavica, e le loro teste da ET si allungano su colli sottili per brucare teneri germogli verdi. Questo primo scorcio di Galapagos profuma di tempi lontani, quando queste isole erano il regno incontaminato di animali lenti, preistorici, dall'aspetto irsuto o corazzato, ignari dell'uomo che combatteva altrove le sue battaglie ma che presto sarebbe giunto per predare, cacciare, esportare, importare altri animali invasivi e come sempre estinguere: ci è riuscito per l'1% delle specie delle Galapagos, prima che la rotta fosse invertita: troppo tardi per alcune specie di iguane e di tartarughe: Lonesome George, l'ultimo esponente di una sottospecie di tartarughe giganti originarie di Isla Pinta, è morto l'anno scorso senza eredi. Addio, George...