
Isla Santa Cruz, Galapagos. Mi sembra incredibile scrivere da qui, oltre 7 anni dopo essere partiti da La Spezia per iniziare questo viaggio, eppure abbiamo lasciato l'Atlantico ed eccoci nel Pacifico: quest'anno Alessio ha deciso di fare il salto nel blu e ai primi di marzo ha attraversato il Canale di Panama, diretto alle Galapagos, dove le bambine e io lo abbiamo raggiunto due giorni fa, dopo un viaggio eterno durato quasi due giorni. E dunque, eccoci arrivati tutti alle Galapagos, lui a vela, io a volo.
Ieri abbiamo cominciato a guardarci intorno e a familiarizzare con il paesaggio sorprendente e inaspettato: foche ben pasciute dormono placidamente al sole sui pontili, incuranti dei turisti che le scavalcano per passare. Frotte d pellicani si affollano al mercato del pesce, litigando tra loro come oche davanti a un contadino che sparga il mangime. Iguane nere come la pece, catapultate direttamente dalla preistoria, prendono il sole su rocce vulcaniche. Ieri un'iguana ha camminato solennemtente sulla spiaggia e si è fermata a pochi centimetri da noi, guardandoci con i suoi occhietti severi, e lì è rimasta immobile per ore, come se il tempo per lei fosse altra cosa rispetto al nostro.
Tartarughe enormi trascinano i loro quintali di peso con lentezza atavica, e le loro teste da ET si allungano su colli sottili per brucare teneri germogli verdi.
Questo primo scorcio di Galapagos profuma di tempi lontani, quando queste isole erano il regno incontaminato di animali lenti, preistorici, dall'aspetto irsuto o corazzato, ignari dell'uomo che combatteva altrove le sue battaglie ma che presto sarebbe giunto per predare, cacciare, esportare, importare altri animali invasivi e come sempre estinguere: ci è riuscito per l'1% delle specie delle Galapagos, prima che la rotta fosse invertita: troppo tardi per alcune specie di iguane e di tartarughe: Lonesome George, l'ultimo esponente di una sottospecie di tartarughe giganti originarie di Isla Pinta, è morto l'anno scorso senza eredi. Addio, George...
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