giovedì 26 aprile 2012

Amici di... mici

Stamattina la giornata ha avuto un inizio nefasto, perché Chiara si è fatta la cacca addosso nel sonno senza accorgersene né svegliarsi. Cari lettori di lunga data della Purple Family, dite la verità che sentivate la mancanza della parola "cacca", grande regina dei miei post del 2009 e del 2010. La visione della polpetta sulle lenzuola linde e la prospettiva di una mattinata di bucato mi hanno causato un breve sconforto, fugato dall'uscita del sole: ha finalmente smesso di piovere! E così, abbiamo deciso per una bella passeggiata sul sentiero che attraversa la foresta tropicale fino al Fort Sherman, nella speranza di vedere qualche bradipo o scimmia urlatrice. Ma prima, la lavanderia. In effetti un urlo c'è stato, ma il primate che lo ha emesso non era una scimmia Alouatta, bensì Anna. "Mamma, un gattino!". Il felino in questione era proprio un esponente di Felis Catus, ovvero un gattino minuscolo di qualche settimana al massimo, abbandonato davanti alla lavanderia. Un gattino abbandonato a Shelter Bay, con la foresta tropicale a poche centinaia di metri e un coccodrillo che nuota nelle acque del marina, non ha nessuna possibilità di veder sorgere un'altra alba. E ora, che si fa? Noi partiamo dopodomani, e per me è già abbastanza complicato fare un viaggio di venti e passa ore con le bambine senza sobbarcarmi anche un gatto neonato, dunque ho opposto una strenua difesa dinanzi al fuoco incrociato delle bambine: no, non lo possiamo tenere, dobbiamo cercargli un padrone. E' iniziato un pellegrinaggio tra le barche ormeggiate "Do you want a cat?" "Voulez vous un chat?" ma niente, finchè sono andata speranzosa dalla signora che gestisce il negozietto di frutta e verdura, e che ha già due gatti, trovatelli anche loro. "Dove mangiano in due, mangiano in tre", le ho detto con il mio tono più convincente, porgendole il gattino. La signora ha avuto un attimo di esitazione, poi il gattino ha miagolato flebilmente e lei lo ha preso in mano. Tac, fatta! Potete dunque immaginarvi il mio orrore quando, poche ore dopo, ho udito un altro urlo di Anna "Mamma, un altro gattino!". Già, un altro gattino, chiaramente della stessa nidiata, altrettanto abbandonato e se possibile anche più piccolo e affamato. Altra questua tra le barche, altro giro dalla signora. "Dove mangiano in tre, mangiano in quattro" ho detto speranzosa. "Sì, ma dove sporcano in tre, sporcano in quattro!" ha ribattuto lei, e stavolta il gattino non l'ha preso. Come darle torto sull'argomento "cacca" (lettori affezionati, due volte la parola "cacca", e con questa tre, nello stesso post: siete contenti?). Che fare, ahimè, di quest'altra gattina? E poi, ho visto il Guppy, la barca rossa di Laura Dekker. Laura è la più giovane navigatrice in solitaria del mondo, ha fatto la sua prima traversata in solitario dall'Inghilterra all'Olanda a 13 anni, e adesso che ne ha 15, o forse 16, sta circumnavigando il mondo sulla sua barca di 11 metri e mezzo. Laura ha preso il gattino. E' destinato a vedere un sacco di posti diversi, questo gattino, e chi volesse seguirlo può traslocare sul sito di Laura, nella sezione del suo blog. Mi ha detto che ha sempre pensato che avrebbe accolto un gatto a bordo, "se gliene fosse piovuto uno dal cielo". E' sempre bello impersonare il cielo, quando non piovono pietre!

mercoledì 25 aprile 2012

Notizie dal pianeta

Questo post è dedicato alla mia carissima amica Miss, alias Sara, che scrive che io sarei di un altro pianeta, e naturalmente anche a tutti coloro che in questi mesi hanno pensato una o più volte "beata lei!". Dunque, dove eravamo rimasti? Che cos'è che avevo detto? Ah sì, già, avevo detto che le bambine ed io siamo rimaste sole in barca dopo la partenza di Alessio, ma che confidavo che la piscina del marina ci sarebbe stata molto d'aiuto. Beh, cominciamo col dire che nell'instante esatto in cui Alessio ha preso il taxi per andare all'aeroporto, ha cominciato a piovere ininterrottamente e questo dura da tre giorni di fila, con contorno di tuoni e fulmini. L'umidità è dell'80 percento, ogni cosa è umidiccia e sembra sporca, non importa se è stata lavata e asciugata solo un'ora prima. L'unico modo per sfuggire all'assedio di voraci zanzare che arrivano a nugoli dalle vicine mangrovie, complice l'assoluta mancanza di vento, è di serrarsi in barca. Aggiungiamo che, se anche volessimo andare a nuotare sotto la pioggia battente per sfuggire al cabin fever che ci attanaglia, questo non è comunque possibile, perché il filtro della tinozza che qui chiamano piscina si è rotto con ammirevole tempestività, e la stessa è stata chiusa a tempo indeterminato per manutenzione. A rifinitura del quadretto, aggiungerò che ieri pomeriggio siamo rimaste senza corrente elettrica per ore, con conseguente ferrea economia di tutti i consumi elettrici (luce, frigo, eccetera) per non rischiare di scaricare le batterie della barca, rimaste la nostra unica fonte di energia a bordo (e comunque destinate a scaricarsi rapidamente, vista l'assenza di sole e vento, se il problema non fosse stato risolto in breve tempo). Mentre, bagnati come pulcini, gli amici venuti in mio soccorso cercavano di spiegare agli elettricisti che il problema era della LORO colonnina e non del circuito elettrico della barca, le bambine se le davano di santa ragione con urla belluine, dimostrando di aver compreso perfettamente l'importanza della collaborazione nei momenti di emergenza. Prima di metterle a dormire, ho avuto la sorpresa finale di trovare il letto di Anna completamente fradicio, per colpa di un tambuccio che non si chiude bene. In questi giorni di diluvio ininterrotto abbiamo dato fondo a ogni risorsa: le bambine hanno colorato interi blocchi, hanno pennellato, fatto il frottage, usato i gessetti, stickers, colori a tempera, hanno giocato a carte come due bari di professione, si sono travestite con ogni indumento trovato a bordo, hanno impersonato principesse, pirati, cani e gatti, giocato a mamma e figlia e ogni possibile grado di parentela fino alla settima generazione, hanno tagliato e incollato, hanno infilato perline sufficienti a metter su una gioielleria, hanno letto tutti i loro libri per il dritto e per il rovescio. Soprattutto, hanno litigato furiosamente per tutto il tempo, disputandosi qualsiasi cosa, compresi gli oggetti tra loro perfettamente identici , e mettendo a dura prova il mio equilibrio già abbastanza precario. Care mamme affannate, casalinghe disperate, lavoratrici mobbizzate, se è vero che piove sempre sul bagnato (tanto per restare in tema) e che non esistono più le stagioni (qui ad esempio ce ne sono solo due, una asciutta e una bagnata), ricordate però che non sempre l'erba del vicino è più verde, e ogni medaglia ha il suo rovescio, anzi i suoi rovesci (sempre per restare in tema di acquazzoni). No, non sono di un altro pianeta, ciò non toglie che a volte vorrei andarci. Signor Scott, teletrasporto!

domenica 22 aprile 2012

Tre donne in barca

Non scrivo da un po' di giorni, da che abbiamo lasciato Ordup per dirigerci verso Shelter Bay con una grande veleggiata in notturna, andatura al lasco e barca lanciata a 8 e anche 9 nodi, ovvero a tutta birra, su onde bianche di spuma. Una decina di ore di navigazione in piena notte, che le bambine si sono fatte comodamente addormentate nella loro cuccetta, Ale per la gran parte al timone e io in quadrato, cercando di lottare contro la crescente sonnolenza e il maldimare, passato solo dopo qualche ora di planate e risalite sulle onde alte oltre due metri, a intervalli di una decina di secondi circa. Non un mare particolarmente brutto, ma abbastanza per far ballare il tip tap allo stomaco, soprattutto quando si è avuta la brillante idea di mangiare per cena pasta e fagioli! Alessio ha dovuto anticipare il volo per accettare un lavoro importante che gli è stato offerto, io sono rimasta da sola in barca con le bambine, starò qui ancora per una settimana, poi chiudo tutto, prendo un aereo anche io e torniamo a casa. Vivere da sola in barca con le bambine è un po' faticoso, soprattutto se piove, ma le bambine sono collaborative e creative, si intrattengono da sole e fino a che non cominciano a litigare va tutto bene. Qui la stagione migliore è finita e l'aliseo ha definitivamente mollato, lasciando il posto a caldo, acquazzoni e molte zanzare. La piscina dello Shelter Bay è molto di aiuto, le bambine passano a mollo delle intere giornate. Anna passa ore a lanciare una monetina da 5 cents  nella piscina per poi tuffarsi e andare sul fondo a recuperarla, Chiara la segue dappertutto con la sua tipica nuotata a cagnolino. Il passaggio del canale di Panama è rimandato alla prossima primavera, è ormai un po' tardi per passare, la barca non è pronta o non lo siamo noi, o forse sono vere entrambe le cose. Penso che per le bambine questo sia stato l'anno più significativo da quando vanno in barca, forse cominciano adesso a comprendere appieno la portata di questa esperienza. Spero che per loro, così come per noi, non sia troppo difficile il ritorno ai ritmi, alle abitudini e alla vita cittadina, che sono anch'essi una parte importante di noi e della nostra identità.   Io mi preparo al ritorno sognando e pregustando una grande, bianca, morbida mozzarella di bufala!

mercoledì 11 aprile 2012

La luna e il falò

Siamo a Coco Ovest, qualche giorno fa si è levata una gigantesca luna piena che, come direbbe Jannacci, pareva un limone gettato nell'acqua, mentre il sole incendiava l'orizzonte sul lato opposto.
Siamo totalmente soli in quest'ancoraggio, l'isola è bellissima ma molto trascurata: la falda acquifera che giace sotto molte di queste isole è sprofondata, il pozzo è quasi asciutto e molte palme sono morte o cadute, anche a causa della progressiva erosione della spiaggia.
Uno dei lati dell'isola è un cimitero spettacolare di tronchi provenienti dalle foreste tropicali e portati qui dal mare, alcuni sono resti di alberi giganteschi, le cui dimensioni originarie si possono appena intuire da queste sculture titaniche scolpite sulla sabbia.
L'altro lato dell'isola è un cimitero di diversa natura, sulla rena fine e bianca giacciono rifiuti di ogni tipo portati qui dalle correnti e gettati in mare da chissaché e chissaquando.
Due giorni fa ci siamo dedicati a uno dei lavori di maggiore soddisfazione che si possa fare su queste isole, almeno per quanto mi riguarda: abbiamo raccolto chili e chili di bottiglie, scarpe spaiate, bambole senza testa, medicinali in quantità sufficiente per un esercito, taniche, stracci, sacchi di iuta, polistirolo, spazzole, spazzolini, deodoranti, pannolini per bambini e persino una sedia di plastica, abbiamo messo tutto su una pira di foglie di palma e abbiamo acceso un grande falò, che ha bruciato fino a sera.
Esiste qualcosa di primordiale nella gioia che dà l'accendere un fuoco in spiaggia, e io credo che qualcosa nel nostro dna più antico si ricordi di quando avere il fuoco faceva la differenza tra la vita e la morte.
Nei prossimi giorni la spiaggia tornerà sporca come prima, è tanta la plastica che viaggia per mare e ne sa qualcosa il continente di spazzatura che occupa nell'Oceano Pacifico una superficie pari al Texas.
Come svuotare il mare con un cucchiaino. Però è stato bello lo stesso.

sabato 7 aprile 2012

Buona Pasqua!

E' arrivata Pasqua. Molte lance provenienti dalla costa hanno sbarcato fiumane di turisti panamensi che hanno piantato (letteralmente!) le tende sulle isole, muniti di giganteschi contenitori freezer pieni di cibarie e birre. I più chiassosi e invadenti ci salutavano entusiasticamente e facevano foto a noi e alle bambine come se fossimo strani animali, fissando per sempre le nostre espressioni attonite sul loro album dei ricordi.
Aiuto! Siamo fuggiti a gambe levate, anzi no a vele spiegate, anzi no perché non c'è vento, diciamo allora a motore a pieni giri. Eccoci ancorati a Ordup, alias Coco Ovest, un ancoraggio tranquillo e deserto, forse perché è più esposto di altri, perché se il mare non è più che calmo, si rolla.
Il rollìo comunque oggi è un problema inesistente, perché siamo in regime di calme equatoriali: la barca è immobile su un mare piatto e lucente come uno specchio, senza la minima increspatura, nemmeno una bava di vento a regalarci un po' di refrigerio, generatore eolico fermo, temperatura un milione di gradi centigradi. Davanti a noi, una minuscola isoletta di 20 metri di diametro, da cui si stagliano 5 palme (di numero).
Per completare il quadretto, mancherebbe solo Gordon Pym e una barca all'orizzonte con la bandiera gialla di quarantena...
Le bambine fanno grandi tuffi dalla barca, guadagnano di nuovo la scaletta e si lanciano direttamente dalla falchetta, con grandi strilli di gioia e di paura.
A bordo regna la pace, anche tra le bambine: fa troppo caldo per infuocare anche gli animi!
Buona Pasqua a tutti dalla Purple Family!

giovedì 29 marzo 2012

Due cuori e una capanna

Questo post è dedicato soprattutto alla mia amica Eli, che riceve via radio ssb questo blog ovunque io sia, anche in mezzo al mare, e lo trascrive su internet: la radio ssb, si sa, non teme mancanze di campo cellulare o di linea adsl, non conosce che i limiti della propagazione.
Cara Eli, grazie: leggi fino in fondo e saprai il perché di questa dedica!
Da qualche giorno siamo arrivati a Coco Bandero, che è una piccola isola da cartolina: una lunga spiaggia bianca con un basso fondale di acqua azzurra acqua chiara, costellato (è proprio la parola giusta!) di stelle marine grandi fino a 30 centimetri da punta a punta, si trasforma in un tratto di alte dune sabbiose, da cui le bambine scivolano e rotolano con grandi risate, rialzandosi impanate di sabbia fine.
In mezzo all'isola fa bella mostra di sé un gigantesco caiucco, scavato in un unico tronco d'albero, che funge da tavolo per grigliate o pic nic.
Dall'altro lato dell'isola c'è una capannuccia di bambù e foglie di palma, costruita in maniera un po' abborracciata e senza la consueta perizia kuna. E' troppo piccola per ospitare una famiglia kuna e mi chiedevo per quale motivo fosse stata costruita, fino a quando ho saputo che questa capannetta è stata costruita da un velista, per fornire adeguato riparo alla moglie incinta di ormai nove mesi che, catturata dalla magia del luogo, aveva deciso di partorire qui il suo primo figlio: in mezzo all'isola deserta di Coco Bandero, nella capannetta di frasche, senza nemmeno un calderone di acqua bollente, che non ho mai capito a cosa serva ma che c'è persino in Via col Vento, quando Rossella O'Hara aiuta Melania Wilkes a partorire in mezzo all'incendio di Atlanta assediata dagli yankees.
L'idea era romantica, ma il parto resta pur sempre la prima causa di decesso femminile nel mondo, e qualcosa non deve essere andato secondo programma, se nel cuore della notte è stato per loro necessario salpare in fretta e furia alla volta di Narganà, con i rischi che comporta una navigazione notturna tra i reef corallini anche per chi queste zone le conosce bene.
Come sia finita non lo so, ma so che nessun bambino è nato nella capannetta di Coco Bandero, nessun vagito ha rotto il silenzio dell'isola nell'alba rosea, e la capannina è ancora lì che attende.
Avanti la prossima!

venerdì 23 marzo 2012

Galloni, gallette... galli

Finalmente da qualche giorno è uscito il sole, e con lui tutto il tripudio di azzurri e turchesi di questo mare. Siamo ancorati vicino a Tiadup, una bellissima isola circondata da una larga piscina naturale di acque basse e cristalline, territorio di caccia di alcune razze leopardo dall'elegante volo alato marino.
Nonostante la bellezza, questa zona è abbastanza poco battuta , perché qui non arriva bene né la rete cellulare, né i barconi che fanno il giro degli ancoraggi per rifornire le barche di generi di prima e seconda necessità.
A proposito di questi barconi, qualche settimana fa ne è arrivato uno sottobordo, carico di frutta e verdura, e al termine della mia spesina ho sentito una domanda bizzarra. "Pollo?" mi ha chiesto il venditore. "Pollo?" ho ripetuto perplessa io, con un punto interrogativo sospeso sulla testa. Non riuscivo a capire che cosa volesse, i kuna non allevano il pollame. "No tiengo", ho risposto, pensando che mi stesse chiedendo se ne avevo io. Poi, colta da illuminazione, mi sono sporta per cercare il pesce sul suo barcone: dopo tutto, anche da noi in Italia la "gallinella" è un pesce! "Pescado?" ho chiesto, fiduciosa. "No, pollo!" ha esclamato lui, aprendo un grosso contenitore in polistirolo, nel quale, con mio sommo orrore, erano stipate, tra il ghiaccio, confezioni su confezioni di pollo surgelato, tipo quello che abbiamo nei nostri supermercati. E così, niente più "pescado", in compenso è arrivato il pollo, per i kuna è una prelibatezza.
Ieri sera guardavo i pesci argentei compiere grandi balzi vicino alla barca durante la loro caccia serale, e gustavo il delizioso filetto di pargo pescato da Alessio, cucinato in salsa di pomodoro con capperi e olive, che sul banco di una nostra pescheria costerebbe un occhio della testa.
Pensavo alle batterie di polli panamensi, stipati uno sull'altro a crescere alla luce artificiale, destinati a finire nei piatti tradizionali kuna al posto del pesce, con somma contentezza di tutti.
E riflettevo, e non per la prima volta, che il mondo è strano, e a volte non ne vengo a capo. Ma quale sia il dritto e quale il rovescio non mi riesce sempre di capirlo, e forse in fondo nessuno lo sa!

sabato 17 marzo 2012

Pioggia di banane su di noi

Ehi, chi ha fatto la spia? Dopo il mio post di sfogo su quanto la nostra barca sia permalosa e vendicativa, l'indicatore di profondità nel pozzetto ci ha lasciati nel bel mezzo della navigazione... come volevasi dimostrare!
Bellissima bolinata da Narganà con mare piatto e tanto vento, forse un filo troppo invelati perché abbiamo messo più volte la falchetta in acqua: il che, tradotto, vuol dire che quando si risale il vento la barca procede inclinata, talvolta talmente tanto che uno dei suoi bordi finisce immerso in acqua, e seduti nel pozzetto si può guardare il mare... dall'alto in basso! All'interno della barca, tutto ciò che non è stato ben fissato vola da una parte all'altra della barca, e per camminare è necessario tenersi saldamente ai tientibene (che infatti non sono stati chiamati così a caso!).
Qualche notizia spicciola dalla Purple Family: negli ultimi giorni il tempo è stato infame, pioggia e vento forte quotidiani, umore a bordo ondivago, bambine a tratti litigiose, spleen in agguato. Le bambine hanno giocato a carte talmente tanto che mancava loro soltanto un bicchiere di whisky, una nuvola di fumo stantìo e una pila di dollari sul tavolo per poterle visualizzare in qualche bisca clandestina nei sobborghi di New Orleans.
Anna ha iniziato una collezione di semi che sta raggiungendo proporzioni preoccupanti e che non pare esser vicina a conclusione, Chiara glieli sottrae sistematicamente tutti, nascondendoli in tutti i recessi della barca con conseguente caccia al tesoro di tutta la famiglia, tra gli alti lai di Anna.
In questi giorni ho compiuto diversi errorucci di valutazione, da vera principiante: il primo è stato di tagliare i capelli ad Alessio a prua, in una giornata ventosissima: alla fine del taglio, con orrore ci siamo resi conto che la coperta era cosparsa a tappeto di capelli tagliati, e l'equipaggio, armato di straccio e ramazza, ne ha avuto per un paio d'ore.
Il secondo è stato comprare diversi caschi di bananine verdi, che abbiamo appeso fuori, sotto i pannelli solari: forse pensavo che maturassero una alla volta, permettendoci di allungare mollemente la mano e coglierne tre o quattro al giorno, con comodo e secondo nostre necessità. Invece, dopo un solo giorno tutte le banane sono passate contemporaneamente, stile semaforo, da un bel verdone militare a un chiassoso giallo canarino e, dopo un giorno ancora, hanno cominciato a cadere spontaneamente dai caschi con dei secchi "toc". Il consumo di banane giornaliero è aumentato esponenzialmente, poi c'è stata la prima defezione da parte di Anna (mamma, basta, non ne posso più di mangiare banane), poi ha ceduto Chiara che, siccome è ghiottissima di banane, ha resistito stoicamente, finché all'ennesima domanda "Chiarina, la vuoi una banana?" ha sentenziato, seccamente "A me non piacciono PIU' le banane!".
Quando la pioggia di bananine è diventata una ossimorica grandinata molliccia, ho a malincuore buttato tutto a mare.
Appena in tempo: cominciavo ad avere la sensazione che mi stessero crescendo la pelliccia e la coda!

sabato 10 marzo 2012

La vita è una parabola, o forse una parabolica

Eccomi qua, in questi giorni abbiamo girato parecchio, ci siamo mossi prima verso Cangombia, che ha una spiaggia bellissima piena di stelle marine ed è completamente riparata dal vento ma, siccome tutto ha un prezzo, è infestata dalle citras, ovvero insettini minuscoli, praticamente invisibili a occhio nudo, il cui morso causa bollicine che rimangono pruriginose per giorni e giorni, con conseguenti furiosi grattamenti notturni. Abbiamo poi fatto tappa a Narganà, che è il villaggio Kuna più vasto e popoloso dell'intero arcipelago, dotato di una scuola, di un ospedale e persino di una banca. Narganà mi ha riservato la prima vera amara sorpresa di queste isole, perché rispetto a due anni fa è radicalmente cambiata: i tetti di larghe foglie di palma o banano sono stati sostituiti da tetti di lamiera o forse ethernit, su ognuno dei quali svetta la sua brava parabolica: a Narganà è arrivata la tivù satellitare, a fare finalmente sulla popolazione Kuna il lavaggio del cervello che nessuna invasione occidentale, sotto forma di barche o turismo vario, era riuscita finora a fare, ovvero scalzare la cultura secolare Kuna per sostituirla con quella del consumo, e per indurre finalmente qualche bisogno in una popolazione che per secoli non ne ha avuti affatto. E dunque, i bambini che prima sciamavano sorridenti per le strette viuzze sabbiose, correndo, giocando, interrogandoti curiosi e facendoti dono di grandi e bianchissimi sorrisi, sembrano scomparsi. Li intravedi imbambolati davanti alla tivù per ore, mentre lentamente, sottilmente, giorno per giorno viene loro ripetuto che non si può vivere felici senza questo o senza quello, e non importa se i loro avi lo hanno fatto per secoli, il mondo è cambiato e indietro non si torna, lo dice la tivù che ha sempre ragione. Quasi scomparsi e maltenuti anche i negozietti in cui ferveva il commercio, quando siamo entrati a far provviste di frutta e verdura in una tienda un tempo piena di attività e clienti, il proprietario si è alzato di malavoglia dalla sua amaca, lo sguardo sempre fisso sul grande schermo, impaziente di tornare alla sua miniserie tivù, mentre due pappagallini verdi, in una minuscola gabbietta, si beccavano furiosamente.
Una mia cara amica un giorno scrisse che forse bisogna arrivare ad aver tutto per desiderare di non possedere nulla, ma io non concordo.  Perdonate la mia vena odierna di invettiva catoniana (o forse dovrei dire catodica?!) ma io credo sinceramente che questo popolo, un giorno non lontano, dirà o penserà, e con ragione, che si viveva meglio quando si viveva peggio...

mercoledì 7 marzo 2012

Piove, piove, la pompa non si muove... più

Siamo arrivati a Cayo Hollandes, fuori piove e tira vento, si è rotta l'autoclave (cioè l'affare che pompa elettricamente l'acqua dolce fuori dal serbatoio), una montagna di piatti sporchi attende di essere lavata, Alessio munito di pila frontale opera a cuore aperto la pompa.
Sono giunta a una conclusione: la nostra barca è gelosa, dispettosa e vendicativa. Guai a muoverle una minima critica, o peggio a fare un complimento ad alta voce a un'altra barca, o anche solo a esprimere un muto desiderio per una doccia calda o un giro di lavatrice. L'offesa mortale è stata lanciata, e si può star sicuri che il conto verrà servito al momento giusto. Ad esempio, si romperà la drizza del fiocco durante la traversata dell'Oceano Atlantico (dicembre 2005), oppure partirà il termostato del frigorifero costringendoti a spegnere e riaccendere il frigo manualmente ogni due ore (gennaio 2007), oppure morirà il generatore eolico quando è la tua unica fonte di energia alternativa, obbligandoti ad accendere il motore svariate ore al giorno per ricaricare le batterie (2009), poi siccome il motore a quel punto è diventato necessario, cederà la cinghia dell'alternatore del motore stesso (sempre 2009), o ancora, si romperà il pilota automatico incollandoti al timone per ore nelle lunghe navigazioni (2010) e, dulcis in fundo, passerà a miglior vita il frigorifero, visto che hai due bambine piccole a bordo, chili di parmigiano e prosciutto e litri di latte da conservare (2010).
Poiché la barca sa attendere e la vendetta è un piatto da gustare freddo, prima che si rompa qualche sistema essenziale per la qualità di vita di bordo devono verificarsi le seguenti circostanze: vento a 25 nodi fisso con raffiche a 30 nodi (corrispondenti, per i terricoli, a una sessantina di chilometri orari), pioggia intermittente a intervalli fissi, con scrosci a cortina, equipaggio murato in barca.
La configurazione post rottura è sempre la stessa: barca sventrata, pezzi di ricambio e utensili da tutte le parti, padre sporco di grasso o olio a testa in giù in qualche gavone, madre con pettinatura a schiaffo fatta dal vento che latra "NO" in continuazione, in preda al cabin fever, alle sue figlie in assetto variabile:
a) esplorativo: quanti begli utensili, quante belle viti, anzi ci piace proprio questa qui che è l'unico esemplare in grado di entrare nel ricambio che sta aggiustando papà, oops ci è caduta in sentina! Scuuuuusa!
b) litigioso: fatti in là, no fatti in là tu, no tu, no tu c'ero prima io, no io, uhaaa mamma mi ha picchiato sulla testa, buahhh papà ha cominciato lei, sei brutta, no brutta tu, no tu, eccetera.
c) enciclopedico: papà che cosa stai facendo? Perché lo stai facendo? Perché si è rotto? Perché avviti quello? A che cosa serve questo? Quando finisci? Perché non funziona? Perché non mi rispondi? Perché ti devi concentrare? Non si diiiiice quella parooooolaaaaaa!
Oh, mi raccomando, acqua in bocca, che tutto questo resti tra di noi: se una sola parola giunge all'orecchio della nostra barca, potrebbe capitare che la randa decida di stracciarsi durante la prossima navigazione!

domenica 4 marzo 2012

Acqua, cuoco, cuochino

Non c'è nulla come la barca in grado di mettere l'essere umano a confronto con i propri limiti. Nel corso di tutti questi anni di vela, ho perso la conta dei miei limiti come persona, come compagna e come genitore. Alcuni sono stati per me una sorpresa, altri una ineluttabile conferma, come ad esempio il mio limite come cuoca. Provengo da generazioni di cuoche sopraffine, eppure non ho ereditato il gene della buona cucina, nonostante abbia avuto un Dolce Forno di ordinanza e un'infanzia regolarmente passata ad assistere in cucina a manufatti culinari di ogni genere: non possiedo l'istinto assassino dell'ingrediente segreto, non padroneggio il "pizzico" di sale, ho il terrore del "quanto basta", l'"a piacere" mi mette ansia. Il mio primo esperimento di pane a bordo, sette lunghi anni orsono, ha avuto come risultato un oggetto adatto per la disciplina olimpica di lancio del peso . Il mio primo pesce sfilettato, al termine dell'operazione, sembrava uscito direttamente dal frullatore, pronto per una tartare. Quando mi metto ai fornelli io, la cucina è un delirio di pentole e piatti sporchi, circa due terzi in più di quanti ne utilizzi Alessio per cucinare la stessa cosa. Poiché la barca è un ambiente particolarmente ostico anche per la cuoca più navigata (mi si passi il gioco di parole!), per anni ho cercato speranzosa una velista gemella di inettitudine, (dopo tutto uno come Moitessier mangiava biscotti per cani!), ma invano: il popolo delle donne veliste giramondo è capace di mettere a tavola dieci persone in mezz'ora di preparazione, chiacchierando amabilmente come se niente fosse, si scambia per radio complicate ricette di sformati ed elaborati dolci al cucchiaio, e come il Cuoco Svedese dei Muppets lancia il pesce in aria mulinando coltelli affilatissimi e il pesce ricade nel piatto in filetti ordinati e perfettamente puliti, pronti per essere messi in forno o passati in padella.
C'è da dire che molte lo fanno di mestiere (intendo saper cucinare bene) perché le loro barche fanno charter, ovvero offrono delle minicrociere a pagamento sulle loro barche a ospiti paganti, tuttavia il mare pullula di casalinghe perfette, per piacere e non per necessità. A volte però dalla conversazione spicciola arriva un piccolo conforto. Ad esempio, ieri siamo stati invitati a cena su una barca e siamo stati immancabilmente serviti di ogni prelibatezza: "ma tu che cosa facevi prima di imbarcarti?" ho chiesto alla marziana  "La cuoca in un ristorante" mi ha risposto lei, con un largo sorriso.
Aaaaaah, beh!

mercoledì 29 febbraio 2012

Arrivati a Cayo Limon

Ehi! Ma da quanti giorni non scrivo?! Riemergo dal mio blackout narrativo, non abbiamo ancora trovato una routine di vita a bordo regolare che mi permetta di ritagliarmi un tempo quotidiano per questo blog.
Siamo ancorati a Cayo Limon da qualche giorno, di fronte all'isola su cui due anni fa Anna fu aggredita e morsa da un cane sciolto. Ci sono voluti due giorni di navigazione per arrivare fin qui, abbiamo percorso 70 miglia che, a una velocità di circa 6 nodi di media, fanno circa 12 ore complessive di navigazione, spezzate appunto in due giorni. La navigazione è stata tranquilla, il primo giorno avevamo il vento in faccia e abbiamo praticamente smotorato tutto il tempo, il che è non è mai piacevole con il mare mosso, ma il secondo giorno la nostra rotta aveva un angolo diverso rispetto al vento e abbiamo potuto issare le vele, e ci siamo fatti una bella bolinata con mare mosso e onde di due metri a intervalli di circa 8 secondi.
Abbiamo buttato la lenza per la pesca a traina ma, con grande delusione delle bambine e anche nostra, non abbiamo pescato niente.
Le bambine si sono comportate alla grande, hanno giocato in pozzetto tutto il tempo e hanno dormito per lunghi pezzi di navigazione, manifestando qualche insofferenza solo verso la fine della giornata.
Non riesco a capacitarmi di quanto sia diventata facile la nostra vita a bordo, la differenza con due anni fa è gigantesca. Spariti i pannolini, le pappe, le notti di sonno frammentate e le cure parentali continue, la qualità della nostra vita in barca è aumentata esponenzialmente. Ho larghe finestre temporali, un tempo inconcepibili, che posso interamente dedicare a leggere, a pensare e in generale a me stessa. Le bambine sono diventate completamente autonome, giocano moltissimo insieme e la barca è il loro regno incontrastato in cui prendono vita le più fantasiose storie e avventure. Giocano con qualsiasi cosa: semi, conchiglie, piccoli frutti simili a ghiande, qualsiasi cosa la natura e l'ambiente circostante offra loro.
Quando non hanno nulla con cui giocare, giocano senza nulla o, per meglio dire, giocano con niente.
Cayo Limon è abitata da una famiglia Kuna composta dalla matriarca della famiglia, vestita sempre del vestito tradizionale Kuna e con anello d'oro al naso, da sua figlia, che come tutte le donne giovani Kuna ha un'età indefinita che potrebbe benissimo essere una qualsiasi tra i 25 e i 40 anni, e dalla nipotina di 8 anni, una bambina molto timida che vorrei tanto giocasse con Anna e Chiara ma che non sono finora riuscita a convincere a toccare nemmeno una paletta. L'unico componente maschio del nucleo è un ragazzo di circa 16 anni che si occupa di pescare e di contribuire a tenere pulita l'isola dalle sterpaglie che altrimenti finirebbero per soffocare le palme da cocco. L'intera famiglia vive in due larghe e linde capanne con le pareti di bambù, il tetto di foglie di palma e il pavimento in terra battuta, all'interno delle quali non vi è nulla, letteralmente nulla, se non qualche amaca appesa. I Kuna non possiedono niente, e tuttavia paiono convivere senza nessun problema con la civiltà occidentale che vive in barca e si comporta sulle loro isole non come ospiti ma come padroni, pescando il loro pesce, scendendo sulle loro spiagge e usando l'acqua dei loro pozzi, e talvolta attendendosi persino la loro gratitudine imperitura quando gli si fa dono munifico di un gallone di benzina, di qualche lattina di Coca Cola o di qualche scotta ormai esausta.
A proposito di doni munifici, ieri la mamma della bimba Kuna mi ha chiesto se per caso avessi dello smalto per unghie colorato da regalare a lei e a sua figlia. Mi sono guardata tristemente le unghie rosicchiate, e ho crollato la testa: non hanno avuto fortuna, tra tutte le altre veliste a disposizione cui chiedere dello smalto per unghie, dovevano proprio incontrare un'onicofaga!

lunedì 20 febbraio 2012

Caduta...con stile

Ultimi giorni qui al marina di Shelter Bay. Come già sperimentato in passato, la vita attraccati al porto ha un che di alienante, Alessio si tiene impegnato svitando, martellando, trapanando e ingrassando (nel senso che spalma il grasso, non che ingrassa lui), mentre io basculo con le bambine tra la piscinetta del marina e la lavanderia.
A dire il vero il senso di alienazione è solo mio, perché le bambine non si annoiano mai, e anche quando restiamo in barca nelle ore più calde della giornata trovano sempre qualcosa da fare, ma al termine dei loro giochi, all'occhio scorato del genitore di turno si presenta una visione pollockiana della loro cabina, completamente eviscerata: pennarelli, libretti, animali di plastica, vestiti di ogni foggia e dimensione sono buttati qua e là senza alcun criterio, in un ambiente ristretto che, più di ogni altro, chiede a gran voce un po' di ordine per risultare vivibile. Maria Montessori si rivolterebbe nella tomba.
Ieri abbiamo inoltre inaugurato il nostro immancabile bollettino medico di bordo con una rovinosa caduta di Chiara, che è atterrata di faccia piena e si è tagliata profondamente l'interno del labbro superiore , con annessa una bella botta agli incisivi, spero senza conseguenze permanenti sugli stessi (solo il tempo lo dirà), e oggi sfoggia delle labbra a canotto degne di una starlette televisiva dopo una visita al chirurgo plastico.
Il nostro "umorometro" di bordo oggi indica "equilibrio precario": e non è solo quello di Chiara!

mercoledì 15 febbraio 2012

Shelter Bay, dove eravamo rimasti

Shelter Bay Marina, atto terzo: l'altroieri le bambine e io siamo arrivate a destinazione dopo il lungo viaggio Milano-Panama, con scalo ad Amsterdam, cominciato alle 3 del mattino del 12 febbraio e terminato alle ore 21.00 ora locale di Panama, che in Italia corrispondono giustappunto alle 3 del mattino, dunque durante il nostro lungo viaggio le lancette dell'orologio hanno fatto un giro di 24 ore precise.
Che dire, cari amici della Purple Family, innanzitutto ben ritrovati dopo due anni di assenza da questi schermi e a chi di voi ha buona memoria dico: quest'anno si cambia, niente racconto dell'odissea di viaggio di una madre scarmigliata e sfatta che cerca di barcamenarsi tra passeggini, bagagli pieni di liofilizzati e confezioni di latte in polvere per lattanti, e bambine urlanti, abbarbicate alle caviglie mentre inflessibili controllori di volo ispezionano certosinamente il bagaglio a mano in cerca dell'ordigno letale che si nasconde certamente nella tettarella di un biberon dall'aria molto sospetta.
Niente corse affannate spingendo passeggino, bagagli a mano e infanti stanche e affamate verso il gate che sta facendo l'ultima chiamata prima di chiudere i portelloni, e guarda caso sta scandendo proprio il nome della madre maratoneta e della sua discendenza.
Niente giochi da mago illusionista sull'aereo, mentre si cerca di strizzarsi in tre nel bagno microscopico dell'aereo per uno degli innumerevoli cambi pannolino, in aperta sfida alla legge dell'impenetrabilità dei corpi.
Niente di tutto questo: quest'anno il viaggio è andato liscio come l'olio, tra cartoni animati, junk food e sonnellini tattici. Le bambine sono state collaborative al massimo e sono arrivate galvanizzate dalla prospettiva di rivedere il papà dopo 5 settimane di separazione.
E' stato un normalissimo viaggio aereo intercontinentale e non un'epopea, e io sono persino riuscita a vedermi due film!
E dunque, eccoci al Shelter Bay Marina, in piena preparazione della cambusa prima della nostra partenza, prevista per il fine settimana, e degli ultimi lavoretti prima di salpare.

Isole dei mari del sud, arriviamo!