mercoledì 24 luglio 2013
Soffia il vento, urla la bufera...
Eccoci ancora qua a Raroia, dopo il disastro ovviamente non siamo partiti per Makemo e siamo rimasti all'ancora a leccarci le ferite, beh a dire il vero IO mi sono leccata le ferite e mi sono stracciata le vesti in stato di prostrazione, e nel frattempo Alessio ha lavorato come un mulo, come sempre. Il tempo è infame, freddo, pioggia e vento sui 35 nodi, oggi abbiamo osato mettere il naso fuori dall'ancoraggio per percorrere le 5 miglia che ci separano dal villaggetto dall'altro lato dell'atollo, nella speranza di fare un po' di spesa e magari anche di riuscire a fare un bucato o due da una signora che (si favoleggia) possiede una lavatrice, ma l'ancoraggio a ridosso del paesello era così brutto e insicuro che abbiamo fatto dietro front senza nemmeno fermarci e siamo tornati indietro con la coda tra le gambe. Alessio si è sparato 5 ore di timone e motore sotto la pioggia, con onde e vento a 35 nodi in faccia (in certi momenti, col motore al massimo, andavamo a mezzo nodo, cioè a UN chilometro all'ora, saremmo andati più veloci a piedi!) e tutto questo in cambio di niente. 5 ore di viaggio per percorrere 10 chilometri scarsi... quando si dice una decisione sbagliata, eh. Ho scordato di aggiornarvi su Pio, vi sarete chiesti che cosa ne sia stato del nostro pulcino marinaio. Beh, dopo qualche giorno abbiamo scoperto che Pio soffriva il maldimare (sic!) e dunque, ancora alle Marchesi, lo abbiamo sbarcato su un bel praticello pieno di altre galline e pulcini, nella speranza che la terraferma gli offrisse quelle speranze di sopravvivenza che a bordo gli sarebbero state sicuramente negate. E così, per il momento sono tornata ad essere l'unico membro dell'equipaggio che soffre il maldimare, visto che le bambine mi hanno abbandonata in questo genere di sofferenza, e durante le nostre turbolente navigazioni rollanti e beccheggianti si dedicano con delizia a varie occupazioni tutte ugualmente nauseabonde per la sottoscritta: leggono, scrivono, disegnano e mangiano. E vabbè, attendiamo che questo fronte freddo stazionario vada a stazionare da qualche altra parte e ci offra una finestra meteo adatta per mettere fuori la prua dalla protezione della barriera corallina. In mare aperto, in questi giorni, deve essere un inferno e noi non abbiamo nessuna intenzione di andare a cercare altri guai. E quindi ci godiamo qui il vento, il freddo e la pioggia: stasera, polenta!
lunedì 22 luglio 2013
L 19, colpito...quasi affondato
"Papà, esce acqua dal buco del pavimento". E' cominciata così, con questa frase di Chiara, la nostra giornata più nera. Ale e Anna stavano salpando l'ancora, io stavo facendo un sonnellino in quadrato, ma la frase di Chiara ha avuto l'effetto di una bomba in una cristalleria. Ho aperto gli occhi e ho visto l'acqua uscire dai paglioli, dove non avrebbe mai dovuto esserci, e da lì in poi è stata solo concitazione e paura. Era evidente che stavano entrando migliaia di litri d'acqua, che il livello dell'acqua stava salendo a vista d'occhio e che se non Alessio non avesse trovato e tappato in fretta la falla saremmo inevitabilmente affondati. La mia richiesta di soccorso sul canale 16 non ha avuto nessuna risposta, e a quel punto mi sono messa a sgottare, una secchiata via l'altra, mentre Alessio cercava freneticamente la via d'acqua e alla fine, al colmo della disperazione, portava la barca a 40 metri dalla riva, pronto ad arenarla sulla spiaggia se non fosse riuscito ad arrestare a breve il flusso d'acqua. Nel panico e nella confusione, traevo conforto dal pensiero, lucido e cristallino, che se anche la barca fosse affondata, noi però ci saremmo salvati, perché la spiaggia era vicina, il gommone era in acqua, il cellulare aveva campo, e avrei anche avuto tempo di raccogliere e mettere in salvo i soldi, i passaporti, e le nostre cose più importanti. Infine, mentre i paglioli galleggiavano tristemente per tutta la barca e l'acqua aveva quasi raggiunto i polpacci, ed era ormai chiaro che nemmeno sgottare a secchiate e tutte le pompe in funzione avrebbero impedito al livello dell'acqua di salire inesorabilmente, Ale ha trovato la falla: era saltata via la cuffia dell'asse dell'elica. Sdraiato in acqua, alla cieca Ale l'ha ripescata e rimessa in sede, e abbiamo potuto ricominciare a respirare: il livello dell'acqua era finalmente fermo, e poi ha cominciato a scendere. La barca era un macello: l'autoclave, il compressore del frigo e il motore fino a metà erano andati sott'acqua con tutti i loro bei contatti elettrici, dappertutto acqua salata mista a residui oliosi. Dulcis in fundo, nel frattempo l'ancora aveva spedato e avevamo vagato alla deriva tra i reef senza accorgercene per circa duecento metri, quando fortunatamente l'ancora ha fatto presa su qualche testa di corallo e ci ha fermati, inermi e ignari di tanta cattiva sorte. Non voglio soffermarmi sulla notte agitata e piena di incubi, e nemmeno sulla giornata di ieri, in cui Ale ha lavorato duramente e indefessamente per fissare saldamente la cuffia al suo posto e riportare la barca in una condizione di normalità, mentre fuori il vento infuriava con raffiche di 35 nodi sotto un temporale via l'altro. Le bambine sono state bravissime e collaborative, assolutamente all'altezza della situazione. Oggi tutto è tornato a posto, tranne il mio morale che è sotto i tacchi: è il 21 luglio, mio papà compie 80 anni e io vorrei essere a casa, a cantargli tanti auguri a te insieme al resto della mia famiglia, mentre lui spegne le candeline. Tanti auguri papà, buon compleanno!
Crusoe Family!
Ultimo giorno qui a Raroia, domani ci spostiamo a Makemo, distante da qui 70 miglia. Dal nostro arrivo le bambine e io abbiamo fatto circa 700 miglia, quasi 1400 chilometri a vela, non male per le mie bambine cittadine. Le bambine non soffrono più il maldimare e in navigazione conducono una vita assolutamente normale, leggono, giocano, mangiano e dormono anche nelle condizioni di mare e vento più severe. Io invece continuo a soffrire il maldimare senza speranza di redenzione: eh, che devo farci, mi tocca solo tanta pazienza (la migliore di tutte le virtù). Ieri Chiara ha avuto il suo battesimo di maschera e pinne, finora non eravamo mai riusciti a convincerla a provare, ma Alessio è stato bravo nel continuare a proporle questa esperienza e alla fine la curiosità di vedere le meraviglie che qui nuotano sott'acqua deve aver avuto la meglio sul fastidio inziale di indossare la maschera. Per Chiara è stata una epifania, continuava a tirare fuori la testa dall'acqua e a togliersi il boccaglio per poter gridare tutto il suo entusiasmo per ciò che vedeva sott'acqua, e a dire il vero tanta emozione era più che giustificata: ieri sotto di noi nuotava una manta con un'apertura alare di due metri! Ahimè, domani ci spostiamo, il tempo stringe se vogliamo raggiungere Fakarava entro i primi di agosto, visto che vogliamo visitare con calma un altro paio di atolli. Mi dispiace molto andarmene, non credo che ci capiterà così spesso di essere gli unici esseri umani per chilometri e chilometri di spiagge coralline e acque turchesi. E' stato bello trasformarsi, per qualche giorno, da Purple Family in... Crusoe Family!
mercoledì 17 luglio 2013
Raroia
Raroia, prima tappa nell'arcipelago delle Tuamotu. Siamo arrivati qui da Fatu Hiva, dopo 400 miglia di navigazione no-stop, e ne è valsa la pena: il nuovo paesaggio degli atolli presenta un contrasto incredibile con le alte montagne lussureggianti delle Marchesi, ma è altrettanto stupefacente. Siamo, e mi par incredibile, l'unica barca in un atollo lungo 40 chilometri e largo 10, davanti a noi si offrono spiagge su spiagge di rena corallina rosa, che si affacciano su piscine naturali di ogni azzurro possibile, dal verde acqua al turchese. Piccoli squaletti nuotano pigramente tra coralli viola e blu cobalto, mentre sulla spiaggia alcuni paguri grandi quando un pugno procedono come mezzi cingolati su tappeti di piccole conchiglie bianche. Ma la cosa che fa più impressione è proprio la nostra completa solitudine in tanta smisurata bellezza, l'immersione totale in tutto questo azzurro, rosa e bianco, e il senso di straniamento che proviene dalla sensazione, ovviamente irrazionale ma non per questo meno forte, di essere gli ultimi rimasti, o i primi di una lunga serie a venire...
Pronti, partenza, via!
Oggi partiamo per le Tuamotu, destinazione Raroia. Ci separano 400 miglia, circa 3 giorni di navigazione no-stop, siamo pronti, la barca pure, atolli della Polinesia preparatevi, arriviamo!
sabato 13 luglio 2013
Fatu Hiva, Baia delle Vergini
Fatu Hiva, Baia di Hanavave, anche detta Baia delle Vergini. Per me, vince a mani basse il premio di baia più bella delle Marchesi, ed è anche la nostra ultima tappa marchesiana prima del grande salto verso l'arcipelago delle Tuamotu. L'abbiamo raggiunta dopo una bolina tranquilla da Hiva Oa, durante la quale abbiamo di nuovo provato la grande gioia di rivedere i delfini surfare a lungo sulla nostra prua. I tramonti sulla Baia delle Vergini sono i più spettacolari che io abbia mai visto, il sole riverbera di rosa e arancione i pinnacoli per i quali questa baia è famosa, e da cui ha preso il nome: leggenda vuole, infatti, che il nome di questa baia fosse inizialmente Baie des Verges (la baia delle verghe), per via dell'aspetto decisamente fallico dei suoi molti e imponenti pinnacoli. I missionari furono sufficientemente inorriditi da questo soprannome da aggiugere una "i" e tramutarla in Baie des Vierges. A ben guardare, su molti dei pinnacoli si possono scorgere fattezze umane, e su uno in particolare una specie di Monna Lisa, persin dotata di una verde chioma muschiosa, domina solennemente la baia come George Washington dal monte Rushmore. A terra, siamo stati accolti da un ritmo stentoreo di tamburi: l'intero villaggio stava provando le danze rituali polinesiane in preparazione dei grandi festeggiamenti del 14 luglio, e abbiamo potuto ammirare grandi e piccoli impegnati in difficili movimenti del bacino e in sinuosi ondeggiamenti di braccia, a tempo di percussioni. Veniva una gran voglia di provarcisi, se non fosse stato per il fatto che sono convinta che mi si sarebbe svitato il bacino oppure che sarei stata colpita da un accidentale colpo della strega. O forse, più che accidentale, dovrei dire... occidentale!
Fish(erman)'s friends
"Mamma, posso avere un'altra banana?". Mi insospettisco, è già la terza che le bambine mi chiedono, e da quando in qua sono diventate così ghiotte di banane? E poi cos'è tutto questo silenzio in coperta? Sporgo la testa dal tambuccio, in tempo per vedere Chiara che stacca un pezzo della sua banana e lo getta in mare. Orrore, sprecare il cibo non va mai bene, ma in barca è considerato un peccato mortale. In risposta alla mia reprimenda, le bambine se ne escono con "Mamma, è pieno di pesci rosa qui sotto, mangiano qualsiasi cosa gli buttiamo, possiamo pescarne uno?". E' vero, sotto la barca è un affollarsi di parghi rosa, altrove sarebbero pesci buonissimi da mangiare, ma qui in Polinesia i pesci che vivono e si nutrono sui coralli sono spesso velenosi, ingeriscono massicce quantità di una tossina dei coralli che si chiama ciguatera, e mangiarli è una cattiva idea. "Bambine, non possiamo mangiarli, che cosa li peschiamo a fare?". Non c'è verso, come spesso succede le bambine insistono, e io decido che sarà una buona lezione. Estraggo amo e lenza, mettiamo l'esca e gettiamo. Tempo cinque secondi, e la lenza fila con uno strattone tra le mie dita, le bambine gridano di gioia ed eccitazione mentre tiriamo su un bel pargo. Guardiamo negli occhi il grosso pesce, mentre boccheggia impotente nel secchio. "Poverino..." dice Chiara. "Poverino..." fa eco Anna. "Già", dico, io laconica. Lo ributtiamo a mare, io chiedo: "Volete continuare a pescare?". "No", dice Anna. "No", dice Chiara. "Bene", dico io solennemente,"uccidere non è nè facile, nè divertente, quando lo si fa solo per divertimento". Per qualche giorno la faccenda è rimasta lì, a lievitare da qualche parte nella coscienza delle bambine. Ieri, durante la traversata per Hiva Oa, abbiamo pescato alla traina un bellissimo tonno pinne gialle, bello cicciotto, forse 8 o 9 chili: mentre Alessio cercava di arpionarlo con il raffio per issarlo in coperta, proprio all'ultimo secondo, il tonno si è slamato con un guizzo. "NOOOOOOOOOO!", abbiamo gridato Alessio e io, all'unisono. "Oh, che peccato..." ha detto ipocritamente Chiara, nascondendo a stento la sua intima soddisfazione per l'epilogo della nostra pesca. Poi ha chiosato filosoficamente: "Eh, pazienza: tornerà a farsi la sua vita, no?". "Già", ho risposto io, laconica per la seconda volta, pensando che, in fondo, alla fine tutto è sempre una questione di punti di vista.
lunedì 1 luglio 2013
La bolina notturna
Oggi l'indicatore dell'energia del morale a bordo è basso, e le ultime due giornate sono da ascrivere nell'apposita sezione del blog intitolata "giornate no, cabin fever e umore tignoso".
Due giorni fa abbiamo fatto una bolinata notturna selvaggia, con vento in faccia a oltre venti nodi e onde di tre metri, falchetta perennemente in acqua e barca completamente sbandata: 20 ore conscutive di dura bolina stretta per percorrere le micragnose 100 miglia che ci separavano dall'isola di Tahuata, la quale da parte sua ci ha maternamente accolto con pioggia battente e raffichette di vento a 40 nodi (80 chilometri l'ora), che facevano tremare la barca come se fosse in preda a febbre terzana.
Durante la navigazione notturna, uno degli innumerevoli violentissimi beccheggi della barca ha causato la rottura di una bottiglia di vino che si è versato ovunque, rendendo l'atmosfera del quadrato satura di fumi vinosi e simile a quella di una bettola di quarta categoria: l'ideale, per una (a caso) che stia cercando di superare il mal di mare che la attanaglia da ore. La randa ha rimediato uno squarcio di 20 centimetri che andrà pazientemente ricucito prima che possiamo riprendere il mare, mentre la cabina di prua ha una via d'acqua non ancora bene identificata, che causa uno sgocciolamento sui materassi durante le lunghe navigazioni di bolina come quella appena fatta, e rende la cabina completamente inagibile.
Questo, il bollettino di guerra. A voler guardare il lato positivo, c'è da dire che l'equipaggio ha tenuto botta: Alessio, come sempre superlativo e totalmente autosufficiente, le bambine e io unite nel nostro motto silenzioso durante le navigazioni difficili, che è "primum, non nocere". Ovvero, cercare di non peggiorare la situazione e soprattutto non disturbare il conducente (o, meglio, non disturbare il manovratore, come è ancora scritto su alcuni vecchi tram a Milano), il che per le bambine vuole dire obbedire senza discutere, non prendersi a calci in pozzetto, non giocare con le scotte, mangiare quel che c'è il più velocemente possibile e senza lamentarsi, imbucarsi in cuccetta al calar del buio e non chiedere ogni 5 minuti "quando arriviamo?". Per la sottoscritta, vuole dire cercare di non vomitare l'anima, non tagliarsi un dito o slogarsi una caviglia, gestire tutte le varie cacche e pipì delle bambine a barca sbandata, e soprattutto evitare di nutrire sentimenti ostili per la barca, che notoriamente è molto permalosa e vendicativa ed è in grado di leggermi nel pensiero.
E così, eccoci qua, in attesa dell'arcobaleno, che sono sicura non tarderà ad arrivare. In queste settimane alle Marchesi ne abbiamo ammirati moltissimi, a volte anche doppi, a ricordarci che non piove mai per sempre: gli strappi si ricuciono, i cuscini e i tessuti si lavano, tutto si aggiusta e si riordina. Sei pronta a sorriderci, Tahuata?
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