venerdì 4 agosto 2017
La traversata dalle Fiji alle Vanuatu
"AAAAAAHHHHHHHHH". Lo strillo terrorizzato di Chiara e il mio grido escono come un suono solo e prolungato, così simultaneo che farebbe felice il più severo direttore di un coro.
Abbiamo su tutto il fiocco e abbiamo preso solo una mano alla randa, e siamo decisamente sovrainvelati: ahimè, fuori, sotto una pioggia battente, infuria un temporale e ci sono 40 nodi con raffiche a 50, e noi filiamo a 9 nodi.
Il pilota automatico ha appena deciso che non ce la fa tenere in rottala barca e, nel momento esatto in cui entra dopo una straorza entra in stand by e ci abbandona, Alessio si catapulta in coperta così come è, in pantaloncini e maglietta, per raggiungere il timone e cercare di riprendere il controllo della barca, che ormai va per conto suo come un cavallo imbizzarrito.
Mentre la barca si sdraia sul mare per effetto della prima strapoggia e il nostro mondo sottocoperta si rovescia con lei, guardo orripilata i cassetti della cucina che vengono letteralmente sparati fuori uno dopo l'altro come proiettili, lanciando ovunque coltelli, posate e utensili vari. Un pomodoro arriva fino ai miei piedi e col movimento oscillatorio successivo ripercorre a ritroso la stessa strada, velocissimo, come dotato di vita propria. Una bottiglia di vino viene sparata come da un cannone invisibile dalla paratia opposta, per finire a schiantarsi vicino alla mia testa. Incredibilmente e per qualche misteriosa legge fisica non si rompe. La recupero e la tengo stretta al petto quasi fosse un neonato, non certo per affetto ma perché non saprei dove metterla, nel marasma generale, impegnata come sono a puntare i piedi sul bordo del tavolo per mantenere l'equilibrio.
La successiva strambata involontaria sbanda la barca dall'altro lato, questa volta oltre ai cassetti della paratia opposta vola anche il computer che si schianta con un fracasso agghiacciante, mi precipito a recuperarlo scivolando sui paglioli ingombri di ogni cosa, sembra che sia esplosa una bomba.
Ho una paura fottuta per Alessio, non so cosa stia facendo nell'inferno lì fuori, so solo che è uscito in maglietta e senza cintura di sicurezza per legarsi, che è buio, che diluvia, fa freddo, e che il vento soffia a 100 km l'ora, e che la barca lo sbalzasse fuori bordo per lui non ci sarebbe scampo.
Ho paura, ma ho anche una cieca fiducia che lui ci tirerà fuori da questo inferno e così, quando lo vedo scendere, mortalmente pallido e intirizzito fino alle ossa, sull'orlo del collasso, il mio cuore perde un battito.
Che farei se svenisse? Come lo rianimerei in questo casino?
Per fortuna pian piano si riprende, alla fine riesce ad ammainare il fiocco, la randa è ancora tutta su ma pazienza, il vento ha un po' ceduto, il peggio è passato.
Il giorno dopo facciamo la conta dei danni: un candeliere piegato, un meolo strappato, il salvagente inghottito dal mare, ma soprattutto il nostro generatore watermode si è danneggiato in modo grave. Per il resto, lei, la Serva, come sempre si è comportata alla grande, perché lei è un vero purosangue marino.
In conclusione, dopo 500 e rotte miglia di navigazione, ovviamente funestate dal maldimare, eccoci finalmente arrivati alle Vanuatu. Resisto alla tentazione di baciare il suolo, ma aspiro a pieni polmoni il profumo della terra.
Anna chiosa: "Mamma, è stata la paura più grande che ho provato: in confronto la paura dell'interrogazione non è niente!". Eh, già. Diciamo che l'esperienza è un'insegnante un po' diversa: prima ti interroga, e poi ti spiega la lezione!
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Aiuto! Ho vissuto una roba simile e da lì ho deciso che preferisco avere i piedi sulla terra ferma!!!!!
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