martedì 19 agosto 2014

No Limits

"Per i dottori ero un pazzo, ma io non volevo rinunciare alla mia vita!". Sono seduta nel pozzetto della barca di Jon e guardo il suo bel viso aprirsi in un sorriso bianchissimo, mentre pronuncia queste parole. Guardo incredula la barca, una normalissima barca di 11 metri, con le solite barriere architettoniche tipiche di ogni barca: una ripida scaletta per scendere sotto coperta, un normalissimo pozzetto con la sua brava ruota del timone, un armo della barca normalissimo per qualsiasi navigatore, solitario o no. Ma Jon non è una persona "normalissima", Jon è un ragazzo eccezionale, con uno spirito indomito. In pozzetto balza all'occhio un solo oggetto insolito per una barca, ed è una sedia a rotelle, piegata e appoggiata al timone. Jon, infatti, ha perduto 10 anni fa l'uso delle gambe in un incidente da paracadute, e tuttavia ora è qui, all'Anse Amyot, dopo aver navigato in solitario dai Caraibi fino alle Tuamotu, sei o settemila miglia nautiche, cioè oltre dodicimila chilometri a vela da solo, con la sola forza delle sue braccia e della sua voglia di farlo. Da qui, andrà fino in Nuova Zelanda, altre migliaia di miglia in solitario, fuori dalla fascia degli Alisei e dove i venti sanno soffiare anche a 65 nodi, cioè più o meno 130 chilometri orari. Di fronte al mio stupore e alla mia ammirazione, Jon si schermisce: "Era il mio sogno prima dell'incidente, perché avrei dovuto rinunciare al mio sogno?". Già, perché? Vorrei rispondergli con le parole di Blaise Pascal: "Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce". Forse è vero che gli unici limiti dei sogni sono quelli che (ci?) mettiamo noi. Buon vento, Jon. E grazie.

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