lunedì 16 giugno 2014
Maeva
Prima di tutto il mio bagaglio alla fine è arrivato, dopo varie peripezie.
Le immancabili forme di parmigiano che, anno dopo anno, continuo pervicacemente a portarmi dall'Italia, in omaggio all'italiana convinzione che senza il parmigiano la vita sia indegna di essere vissuta, sono giunte in ottima forma, e dunque anche il mio morale si è rialzato: a volte basta una virata da una bustina di oscuro formaggio grattato del Carrefour, di marca "Fromagio" a un boccone di parmgiano vero per vedere le cose da tutta un'altra prospettiva.
A proposito di Papeete, a una settimana dal mio arrivo, ho qualche considerazione da fare. E' trascorso qualche secolo da quando, a metà del 1700, l'arrivo dei primi europei a Thaiti fu accolto da con entusiasmo da centinaia di canoe di abitanti in festa (che, manco a dirlo, avrebbero in seguito velocemente cambiato idea al riguardo, come era successo a tanti altri indigeni prima e dopo di loro, in tutte le parti del globo).
In realtà, il primo impatto è amichevole: all'aeroporto, appena scesi dal volo, si è accolti da leggiadre fanciulle che, incoronate di fiori, danzano sinuosamente sulle dolci note dell'ukulele.
Lo scontro con la realtà, tuttavia, è subito dietro l'angolo. A Papeete, infatti, la tendenza dei locals francopolinesiani sembra essere quello di scoraggiare ogni iniziativa del velista bisognoso volta a ottenere informazioni o, peste lo colga, aiuto di qualsiasi genere (a pagamento, beninteso).
La venuta a bordo di un qualsiasi elettricista o meccanico è un atto di grande magnanimità, come ricompensa di lunghi giorni di paziente e supplice attesa.
La riparazione di qualsiasi pezzo deve superare un muro di gomma fatto di "No!", di teste crollate davanti alla prospettiva di compiere lo sforzo mentale massimo di dover ordinare dei ricambi dalla Nuova Zelanda.
Per esempio, qualche giorno fa Alessio ha chiesto il nominativo di un buon meccanico al proprietario del negozio di ricambi, il quale gli ha risposto serafico: "sì, ne conosco di bravissimi, ma non voglio darti il nome o il telefono di nessuno di loro, perché poi magari non vengono a vedere il tuo motore, e io non voglio che tu venga a chiedere a me il perché".
In una parola: Maeva! (Benvenuto, in polinesiano).
Oppure, anche: Ma... e va'......... (a libera interpretazione, in italiano!).
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