venerdì 27 giugno 2014

In giro per Tikeahu

Rieccomi dopo un blackout comunicativo, da qualche giorno abbiamo un vento da nord a tratti anche sostenuto e siamo stati molto girovaghi, nel tentativo di trovare un buon ancoraggio con un beccheggio tollerabile. Ci siamo rifugiati in un piccola insenatura vicino alla passe, sull'amenità della quale le opinioni dell'equipaggio della Purple Family divergono decisamente. Ad Alessio questo posto piace, forse perché si può finalmente riposare un po' dalle fatiche della navigazione, mentre io, manco a dirlo, friggo per cambiare ancoraggio. Il posto ha una vaga atmosfera da ultimo avamposto alla fine del mondo, perché sulla spiaggia c'e' un agglomerato di costruzioni su cui si deve essere abbattuto in passato qualche uragano, conferendogli un aspetto diroccato e abbandonato: casette di legno sventrate, tetti sfondati, muri cadenti. Un anziano, apparentemente l'unico abitante rimasto di questo villaggetto, si aggira come un fantasma, cordiale e sorridente ma assai vago nelle risposte date in un francese stentato. "Buongiorno, si può pescare senza pericolo di ciguatera, qui?" "Si'" "Nella passe?" "Si'" "Ma meglio pescare con la corrente entrante?" "Si'" "Oppure meglio con quella uscente?" "Si'" "Insomma e' uguale con corrente entrante e uscente?" "Si'". Alessio, tutto contento delle risposte ricevute, si prepara a una battuta di pesca sulla passe. Io, assai meno fiduciosa, sarei tentata di fare qualche controprova a trabocchetto, del tipo: "Come ti chiami?" "Si'". La punta dell'isola, che offrirebbe una spiaggia bianca e bellissima, attorniata da acque turchesi, e' inaccessibile perché guardata a vista da 3 cani, assai rumorosi e molto compresi nel loro ruolo, con i quali non desidero instaurare alcun rapporto di conoscenza, nemmeno superficiale, dati i nostri trascorsi cinofobi. La passe, pero', sembra essere bellissima, e oggi Alessio ha portato le bambine a fare snorkelling approfittando della corrente entrante: si attaccheranno a una cima e si faranno trasportare a traino dal gommone spinto dalla corrente, mentre coralli e pesci di ogni tipo e dimensioni sfileranno sotto la loro pancia a discreta velocità. Un po' come sdraiarsi sulla pancia sopra un tapis roulant trasparente. Panta rei, tutto scorre..

lunedì 23 giugno 2014

Verso Tikeahu

A quasi due settimane dal nostro arrivo a Papeete, sabato abbiamo finalmente lasciato il marina, diretti alle Tuamotu. Il Carrefour e' stato domato, i bucati fatti, le vele armate, il motore rieducato. Ci siamo dunque sparati oltre 24 ore di bolina, 170 miglia nella solita vita da "sbandati", e battesimo della navigazione di quest'anno per le bambine e per me. Mal di mare assicurato per tutto l'equipaggio, contro cui non ha potuto nulla, nemmeno la mia fida chimica farmaceutica. Le bambine sono rimaste spiaggiate a poppa, in stato semicomatoso, per 24 ore filate, mentre io ho alternato invocazioni supplici a strali e invettive contro il mare, il vento e l'intero Oceano Pacifico. La bolina e' l'andatura amata dai velisti "veri", a me invece piace la poppa con un bel venticello a 15 nodi, mare senza onda, sole e una birretta fresca in mano, in attesa che la lenza della canna da pesca dia un bello strattone. Alla fine delle nostre sofferenze, comunque, siamo stati ricompensati dalla vista di Tikeahu, con i suoi "motu" bianche e rosa sotto un sole scintillante. Sulla coperta, stamattina, un pesce volante, tradito da un volo notturno troppo ambizioso, ci fissava con gli occhi sbarrati, ormai senza vita: il suo sguardo attonito pareva interrogarsi sulle probabilità di incrociare il suo destino con il nostro, una notte di giugno, nella vuota immensità dell'Oceano Pacifico...

mercoledì 18 giugno 2014

Sì, forse, domani, partiamo?

Un altro giorno qui a Papeete, la data della partenza per le Tuamotu è stata fissata per il finesettimana, per sfruttare una finestra meteo favorevole ed evitare le traversate in bolina selvaggia dello scorso anno. L'ipotesi di salpare sabato mi pare sempre più fantasiosa: le vele non sono pronte, il radar è defunto, il motore è capriccioso, la cambusa è ancora da completare. Papeete mi sembra ogni giorno di più una di quelle paludi di sabbie mobili che si vedono nei film, dove più ci si dibatte nello sforzo di liberarsi, più si affonda nella mota impietosa. Oggi, sotto una cortina di pioggia, nell'aria grigia e collosa, Alessio è partito in spedizione per la città, in cerca di vari pezzi di ricambio: gli mancava solo un gonnellino di pelle di orso e un arco con faretra. Io mi sento molto donna delle caverne, volontariamente murata in barca, a incoraggiare le bambine a fare pitture rupestri. Sto meditando di farmi assumere dal labirintico Carrefour come addetta alle informazioni, visto che questa figura professionale è totalmente assente in tutti i settori dei vari ettari del supermercato. In compenso, ieri sono tornata alla lavanderia, trovandola sempre fuori servizio. Alla mia domanda su quando sarebbe tornata in servizio, la ragazza alla reception del marina mi ha risposto, come fa sempre, da una settimana a questa parte: "domani". Ho dunque elaborato il seguente infallibile sistema di decodifica verbale per le comunicazioni con i tahitiani: "Sì" vuole dire "forse" "Forse" vuol dire "domani" "Domani" vuole dire "no" "No" vuole dire "no". A domani. Forse!

lunedì 16 giugno 2014

Maeva

Prima di tutto il mio bagaglio alla fine è arrivato, dopo varie peripezie. Le immancabili forme di parmigiano che, anno dopo anno, continuo pervicacemente a portarmi dall'Italia, in omaggio all'italiana convinzione che senza il parmigiano la vita sia indegna di essere vissuta, sono giunte in ottima forma, e dunque anche il mio morale si è rialzato: a volte basta una virata da una bustina di oscuro formaggio grattato del Carrefour, di marca "Fromagio" a un boccone di parmgiano vero per vedere le cose da tutta un'altra prospettiva. A proposito di Papeete, a una settimana dal mio arrivo, ho qualche considerazione da fare. E' trascorso qualche secolo da quando, a metà del 1700, l'arrivo dei primi europei a Thaiti fu accolto da con entusiasmo da centinaia di canoe di abitanti in festa (che, manco a dirlo, avrebbero in seguito velocemente cambiato idea al riguardo, come era successo a tanti altri indigeni prima e dopo di loro, in tutte le parti del globo). In realtà, il primo impatto è amichevole: all'aeroporto, appena scesi dal volo, si è accolti da leggiadre fanciulle che, incoronate di fiori, danzano sinuosamente sulle dolci note dell'ukulele. Lo scontro con la realtà, tuttavia, è subito dietro l'angolo. A Papeete, infatti, la tendenza dei locals francopolinesiani sembra essere quello di scoraggiare ogni iniziativa del velista bisognoso volta a ottenere informazioni o, peste lo colga, aiuto di qualsiasi genere (a pagamento, beninteso). La venuta a bordo di un qualsiasi elettricista o meccanico è un atto di grande magnanimità, come ricompensa di lunghi giorni di paziente e supplice attesa. La riparazione di qualsiasi pezzo deve superare un muro di gomma fatto di "No!", di teste crollate davanti alla prospettiva di compiere lo sforzo mentale massimo di dover ordinare dei ricambi dalla Nuova Zelanda. Per esempio, qualche giorno fa Alessio ha chiesto il nominativo di un buon meccanico al proprietario del negozio di ricambi, il quale gli ha risposto serafico: "sì, ne conosco di bravissimi, ma non voglio darti il nome o il telefono di nessuno di loro, perché poi magari non vengono a vedere il tuo motore, e io non voglio che tu venga a chiedere a me il perché". In una parola: Maeva! (Benvenuto, in polinesiano). Oppure, anche: Ma... e va'......... (a libera interpretazione, in italiano!).

giovedì 12 giugno 2014

Papeete 2014

Cari amici della Purple family, ci eravamo lasciati un anno fa tra i capricci del nostro motore, e ci ritroviamo un anno dopo, tra i capricci del motore. Papeete 2014: sarebbe un buon titolo per delle Olimpiadi un po' speciali, in cui guadagnerei sicuramente il podio in diverse discipline, come i 100 metri in velocità per aeroporti, lancio del fuso (orario) e sollevamento bagagli. A proposito di valigie, per il secondo anno consecutivo il mio bagaglio è andato smarrito, a 3 giorni dal mio arrivo a Papeete non è ancora stato localizzato e lo immagino giacere, docile e ignaro, in qualche punto imprecisato del globo. La vita qui a Papeete, in attesa di salpare per le Tuamotu, segue i binari familiari di quando stazioniamo in un marina: La configurazione tipo prevede Alessio, nero di grasso dalla testa ai piedi, intento a lavorare indefesso a qualche sistema vitale della barca che ha deciso di lasciarci, dopo anni di onorato servizio. Io, nel mio habitus di casalinga disperata, faccio la spola tra la barca e un gigantesco supermercato che mi riduce regolarmente in uno stato di prostrazione, sia per la mia incapacità cronica di fare la spesa con efficienza, sia per le decine di corridoi murati di merci di ogni tipo, tutte però con il medesimo comun denominatore di non essere mai ciò che sto cercando. L'altro mio regno, nei marina, di solito è la lavanderia, luogo uterino e caldo in cui impiego tutte le mie energie per non tingere tutto il bucato di marrone, sebbene una vocina interna da anni continui a ripetermi che tutto sommato sarebbe una liberazione. La lavanderia del Marina Taina di Papeete è così lontana dalla barca che oggi ci sono andata con un carrello del sopracitato supermercato, carico dei miei 10 chili di bucato e di due bambine. Mi sentivo uno di quegli homeless di New York, con tutti i miei averi nel carrello, sporca, scarmigliata e sudata. Dopo una decina buona di minuti di tira e spingi sotto il sole cocente, sono alfin giunta a destinazione, dove ho trovato un laconico cartello su ogni lavatrice: "out of order". Mi sento un po' "out of order" anche io, ma domani, lo so, andrà meglio: ad esempio, forse troverò nel supermercato gigante il barattolo di miele che sto cercando da due giorni senza successo, oppure chissà, magari domani ritroveranno il mio bagaglio. Dentro, ci sono due barattoli di miele!