


Chilometri, decine di chilometri di spiaggia vergine, immacolata. E’ lo scenario che mi si para davanti non appena la foresta pluviale si apre come un sipario davanti ai miei occhi. Per un attimo, chiudo gli occhi e immagino cosa sarebbe, da noi in Italì, di questo sconfinato paesaggio. Centinaia di ombrelloni tutti uguali, filari di lettini, ragazzi che giocano a racchettoni sulla spiaggia tra i Bagni Ondina e i Bagni Settebello. Chioschi, panini, gelati, giostrine per bambini, tappeti elastici, crema solare. Mozziconi di sigarette spenti nella sabbia. Oppure ville abusive a 20 metri dalla spiaggia, con una bella piscina e un praticello inglese strappato alla foresta centenaria che cresce appena dietro.
Riapro gli occhi: in Nuova Zelanda tutto questo bendidio invece è uno dei tantissimi parchi nazionali protetti, non c’è nemmeno la strada per arrivarci in macchina. Appartiene tutto agli uccelli nativi, agli alberi centenari. Le uniche costruzioni sono le rocce modellate dal vento e dal mare. Non è patrimonio per pochi, ci si può andare: a piedi, però, e lasciando tutto come lo si è trovato. Guardo Anna che fa la ruota nell’immensità della spiaggia lasciata libera dalla bassa marea, e mi colpisce la portata del suo privilegio. Merito dei neozelandesi e dell’amore profondo che provano per la loro terra che non vogliono sfruttare, depauperare, devastare, su cui non vogliono fare soldi a tutti i costi. Per loro, questa integra e selvaggia bellezza non ha prezzo. Per tutto il resto, no, non c’è Mastercard.
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