mercoledì 29 febbraio 2012

Arrivati a Cayo Limon

Ehi! Ma da quanti giorni non scrivo?! Riemergo dal mio blackout narrativo, non abbiamo ancora trovato una routine di vita a bordo regolare che mi permetta di ritagliarmi un tempo quotidiano per questo blog.
Siamo ancorati a Cayo Limon da qualche giorno, di fronte all'isola su cui due anni fa Anna fu aggredita e morsa da un cane sciolto. Ci sono voluti due giorni di navigazione per arrivare fin qui, abbiamo percorso 70 miglia che, a una velocità di circa 6 nodi di media, fanno circa 12 ore complessive di navigazione, spezzate appunto in due giorni. La navigazione è stata tranquilla, il primo giorno avevamo il vento in faccia e abbiamo praticamente smotorato tutto il tempo, il che è non è mai piacevole con il mare mosso, ma il secondo giorno la nostra rotta aveva un angolo diverso rispetto al vento e abbiamo potuto issare le vele, e ci siamo fatti una bella bolinata con mare mosso e onde di due metri a intervalli di circa 8 secondi.
Abbiamo buttato la lenza per la pesca a traina ma, con grande delusione delle bambine e anche nostra, non abbiamo pescato niente.
Le bambine si sono comportate alla grande, hanno giocato in pozzetto tutto il tempo e hanno dormito per lunghi pezzi di navigazione, manifestando qualche insofferenza solo verso la fine della giornata.
Non riesco a capacitarmi di quanto sia diventata facile la nostra vita a bordo, la differenza con due anni fa è gigantesca. Spariti i pannolini, le pappe, le notti di sonno frammentate e le cure parentali continue, la qualità della nostra vita in barca è aumentata esponenzialmente. Ho larghe finestre temporali, un tempo inconcepibili, che posso interamente dedicare a leggere, a pensare e in generale a me stessa. Le bambine sono diventate completamente autonome, giocano moltissimo insieme e la barca è il loro regno incontrastato in cui prendono vita le più fantasiose storie e avventure. Giocano con qualsiasi cosa: semi, conchiglie, piccoli frutti simili a ghiande, qualsiasi cosa la natura e l'ambiente circostante offra loro.
Quando non hanno nulla con cui giocare, giocano senza nulla o, per meglio dire, giocano con niente.
Cayo Limon è abitata da una famiglia Kuna composta dalla matriarca della famiglia, vestita sempre del vestito tradizionale Kuna e con anello d'oro al naso, da sua figlia, che come tutte le donne giovani Kuna ha un'età indefinita che potrebbe benissimo essere una qualsiasi tra i 25 e i 40 anni, e dalla nipotina di 8 anni, una bambina molto timida che vorrei tanto giocasse con Anna e Chiara ma che non sono finora riuscita a convincere a toccare nemmeno una paletta. L'unico componente maschio del nucleo è un ragazzo di circa 16 anni che si occupa di pescare e di contribuire a tenere pulita l'isola dalle sterpaglie che altrimenti finirebbero per soffocare le palme da cocco. L'intera famiglia vive in due larghe e linde capanne con le pareti di bambù, il tetto di foglie di palma e il pavimento in terra battuta, all'interno delle quali non vi è nulla, letteralmente nulla, se non qualche amaca appesa. I Kuna non possiedono niente, e tuttavia paiono convivere senza nessun problema con la civiltà occidentale che vive in barca e si comporta sulle loro isole non come ospiti ma come padroni, pescando il loro pesce, scendendo sulle loro spiagge e usando l'acqua dei loro pozzi, e talvolta attendendosi persino la loro gratitudine imperitura quando gli si fa dono munifico di un gallone di benzina, di qualche lattina di Coca Cola o di qualche scotta ormai esausta.
A proposito di doni munifici, ieri la mamma della bimba Kuna mi ha chiesto se per caso avessi dello smalto per unghie colorato da regalare a lei e a sua figlia. Mi sono guardata tristemente le unghie rosicchiate, e ho crollato la testa: non hanno avuto fortuna, tra tutte le altre veliste a disposizione cui chiedere dello smalto per unghie, dovevano proprio incontrare un'onicofaga!

lunedì 20 febbraio 2012

Caduta...con stile

Ultimi giorni qui al marina di Shelter Bay. Come già sperimentato in passato, la vita attraccati al porto ha un che di alienante, Alessio si tiene impegnato svitando, martellando, trapanando e ingrassando (nel senso che spalma il grasso, non che ingrassa lui), mentre io basculo con le bambine tra la piscinetta del marina e la lavanderia.
A dire il vero il senso di alienazione è solo mio, perché le bambine non si annoiano mai, e anche quando restiamo in barca nelle ore più calde della giornata trovano sempre qualcosa da fare, ma al termine dei loro giochi, all'occhio scorato del genitore di turno si presenta una visione pollockiana della loro cabina, completamente eviscerata: pennarelli, libretti, animali di plastica, vestiti di ogni foggia e dimensione sono buttati qua e là senza alcun criterio, in un ambiente ristretto che, più di ogni altro, chiede a gran voce un po' di ordine per risultare vivibile. Maria Montessori si rivolterebbe nella tomba.
Ieri abbiamo inoltre inaugurato il nostro immancabile bollettino medico di bordo con una rovinosa caduta di Chiara, che è atterrata di faccia piena e si è tagliata profondamente l'interno del labbro superiore , con annessa una bella botta agli incisivi, spero senza conseguenze permanenti sugli stessi (solo il tempo lo dirà), e oggi sfoggia delle labbra a canotto degne di una starlette televisiva dopo una visita al chirurgo plastico.
Il nostro "umorometro" di bordo oggi indica "equilibrio precario": e non è solo quello di Chiara!

mercoledì 15 febbraio 2012

Shelter Bay, dove eravamo rimasti

Shelter Bay Marina, atto terzo: l'altroieri le bambine e io siamo arrivate a destinazione dopo il lungo viaggio Milano-Panama, con scalo ad Amsterdam, cominciato alle 3 del mattino del 12 febbraio e terminato alle ore 21.00 ora locale di Panama, che in Italia corrispondono giustappunto alle 3 del mattino, dunque durante il nostro lungo viaggio le lancette dell'orologio hanno fatto un giro di 24 ore precise.
Che dire, cari amici della Purple Family, innanzitutto ben ritrovati dopo due anni di assenza da questi schermi e a chi di voi ha buona memoria dico: quest'anno si cambia, niente racconto dell'odissea di viaggio di una madre scarmigliata e sfatta che cerca di barcamenarsi tra passeggini, bagagli pieni di liofilizzati e confezioni di latte in polvere per lattanti, e bambine urlanti, abbarbicate alle caviglie mentre inflessibili controllori di volo ispezionano certosinamente il bagaglio a mano in cerca dell'ordigno letale che si nasconde certamente nella tettarella di un biberon dall'aria molto sospetta.
Niente corse affannate spingendo passeggino, bagagli a mano e infanti stanche e affamate verso il gate che sta facendo l'ultima chiamata prima di chiudere i portelloni, e guarda caso sta scandendo proprio il nome della madre maratoneta e della sua discendenza.
Niente giochi da mago illusionista sull'aereo, mentre si cerca di strizzarsi in tre nel bagno microscopico dell'aereo per uno degli innumerevoli cambi pannolino, in aperta sfida alla legge dell'impenetrabilità dei corpi.
Niente di tutto questo: quest'anno il viaggio è andato liscio come l'olio, tra cartoni animati, junk food e sonnellini tattici. Le bambine sono state collaborative al massimo e sono arrivate galvanizzate dalla prospettiva di rivedere il papà dopo 5 settimane di separazione.
E' stato un normalissimo viaggio aereo intercontinentale e non un'epopea, e io sono persino riuscita a vedermi due film!
E dunque, eccoci al Shelter Bay Marina, in piena preparazione della cambusa prima della nostra partenza, prevista per il fine settimana, e degli ultimi lavoretti prima di salpare.

Isole dei mari del sud, arriviamo!